"Poche note uguali il pentagramma è solo desolante"

Errori di accentazione, l'orchestra negletta non viene sfruttata e diretta a dovere. Del bel canto resta solo il ricordo sbiadito

"Poche note uguali il pentagramma è solo desolante"

Il fatto che l'esibizione (quella con i fiori, non quella, diciamo così, canora) di Blanco abbia costituito la performance più rievocata della prima serata del Festival, così come il raduno di tre non più giovanissimi protagonisti della canzone italiana quali Al Bano-Morandi-Ranieri di quella di mercoledì, dice già abbastanza della qualità musicale del repertorio presentato.

L'impressione generale dell'edizione di Sanremo di quest'anno, infatti, trasmette una sensazione di ulteriore scadimento tecnico-musicale delle canzoni. Si sa in partenza, d'accordo, che dal palco dell'Ariston non si ascolteranno lieder di Schubert o romanze di Tosti, però, caspita, in quella che dovrebbe essere la vetrina della canzone italiana, ovvero di quella che è stata la patria del belcanto, sarebbe auspicabile sentire qualcosa di più della desolazione.

Le melodie, quando ancora sopravvivono, sono sempre più povere e banali: poche note, sempre le stesse, sempre con le medesime formule, spesso ristrette in movimenti per gradi congiunti all'interno di un onnipresente perimetro di intervalli.

Ma com'è possibile che canzoni sulle quali mettono le mani magari quattro o cinque compositori contemporaneamente non riescano a oltrepassare la frontiera dell'ovvio e del già sentito? Cambiano i testi, ma il modo di maneggiare il pentagramma sembra sempre, sostanzialmente, una continua fotocopia. Così come interscambiabili sono i timbri vocali degli esordienti, poco più che adolescenti, o le intonazioni, spesso quantomeno problematiche. Immancabile costante sono anche i fastidiosi erroracci in composizione nell'accentazione delle parole dovuti alla non coincidenza tra accento musicale e accento tonico: inciampi dai quali, purtroppo, non sono esenti nemmeno i big e i favoriti. E poi c'è la troppa marginalità del materiale sonoro dell'orchestra, obbligata a semplici accompagnamenti, a orchestrazioni basilari e armonizzazioni insipide: e così il direttore (o direttrice?) d'orchestra di Elodie, mentre dirige limitandosi a tenere il tempo, ha modo di fare anche la corista.

In questa situazione di stasi musicale, melodia e armonica, ha ragione Vittorio Sgarbi: il Festival di Sanremo

diventi una vetrina anche per la musica classica, la quale beneficerebbe di una diffusione altrimenti impossibile e la cui grammatica arricchirebbe gli spartiti leggeri. E poi così, per dare un po' di tregua alle orecchie.

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