Quattordici titoli d'opera, nove spettacoli di balletto, undici concerti sinfonici, cinque recital pianistici (apice in Trifonov, Rana, Kantarow e Argerich in trio), otto concerti straordinari, sei recital di canto e quattordici concerti di musica da camera, più le opere per i bimbi. Per offrire tutto ciò il sipario del Teatro alla Scala si alzerà 250 volte dal prossimo 7 dicembre per tutto il 2024. Si parte con Don Carlo di Verdi e un cast senza il quale - spiega Riccardo Chailly direttore musicale della Scala - quest'opera non s'ha da fare. E di fatto, i cantanti della prima saranno Francesco Meli, René Pape, Luca Salsi, Anna Netrebko ed Elina Garanca. Don Carlo va in scena nella versione italiana viceversa Medea di Cherubini, in gennaio, sarà in francese e nel nuovo allestimento firmato Michieletto; in francese anche Guillaume Tell di Rossini con la regia di Chiara Muti.
Come ha fatto notare il sovrintendente Dominique Meyer, il 2024 è l'anno dei grandi direttori. Questa la terna che chiarisce il concetto: Riccardo Muti alla testa della Sinfonica di Chicago, quindi Kirill Petrenko (che venerdì a Brescia ha diretto come un dio) e Christian Thielemann impegnati rispettivamente nel Cavaliere della Rosa di Strauss e L'Oro del Reno di Wagner. La Tetralogia wagneriana verrà completata nel 2026. A proposito di anni a venire. In base a un decreto appena sbozzato, il mandato di Meyer scadrà con il settantesimo compleanno, dunque nel 2025. Sulla questione taglia corto e lancia un messaggio al Governo il sindaco di Milano, nonché presidente della Fondazione Scala: «Il quadro normativo è incerto. Facciano (a Roma - ndr) quello che ritengono di fare, ma che lo facciano. Meyer è comunque coperto dal Cda che l'ha incentivato ad andare avanti».
Il sovrintendente sintetizza l'operato con i numeri: tasso di riempimento della sala oltre il 90%, + 25% di ricavi rispetto al 2019, 43 i milioni erogati da privati. Parte della critica, di quegli spettatori che tutto sanno e del Cda lamenta che vanno bene i bilanci in ordine e la sala piena (quasi fosse un automatismo avere l'uno e l'altro), ma reclama più smalto nella programmazione. Dovrebbe però piacere ai sopraccitati L'Orontea di Cesti diretta da Antonini con la regia di Carsen. Di Werther convince la scelta del protagonista: Benjamin Bernheim, che riascolteremo in concerto con Oropesa, idem per Turandot con Netrebko nel ruolo del titolo, quanto a Harding sul podio: de gustibus, stesso discorso per Livermore all'ennesima regia scaligera. E arriviamo a Puccini che Chailly ricorderà nel centenario della morte dirigendo La Rondine e poi un concerto con Netrebko e Kaufmann solisti.
Sarà un Purcell d'autore quello con Christie alla testa de Les Arts Florissants e Sibelius affidato all'ottimo Salonen. Conoscevamo i dettagli di questa stagione già due mesi fa per via del filo diretto tra un giornale e sigle sindacali: canterine (che la potente Scala intervenga).
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