Né ponti, né Islam: nei racconti Andric si fa intimista

«La donna sulla pietra» (Zandonai, 136 pp, 15 euro): una raccolta di racconti brevi svela «l'ombra» del premio Nobel bosniaco, la sua vena più intimista e delicata al di là del grande racconto epico del «Ponte sulla Drina». Piccole perle che raccontano i misteri della femminilità

«Perché la strada per arrivare alla donna è così serpeggiante e misteriosa?». Una via in ombra, ricca di strettoie, sterrata, ancora disseminata di mine e pericoli, come quelle che si snodano e si arrotolano sulle piane tra Sarajevo, Tuzla e Doboj. Gli infiniti interrogativi della femminilità, tarocco carnale e ideale dalle mille interpretazioni, si specchiano nelle contraddizioni della Bosnia, il Paese che ha avuto in Ivo Andric il suo maggior agiografo e ritrattista. Un parallelo originale e inedito, soprattutto in rapporto al profilo letterario istituzionale di cantore omerico della tradizione balcanica che Andric si è costruito negli ultimi decenni.
Questa raccolta di racconti - snella e senza pretese - ha quindi il pregio non da poco di gettare una nuova luce sull'autore del Ponte sulla Drina e delle Cronache di Travnik, unico premio Nobel dei Paesi Slavi meridionali. La donna sulla pietra (Zandonai, 138pp., 15 euro) ci restituisce un Andric lontano dall'epica storica dello scontro tra cattolici, ortodossi e musulmani. Una voce intima, a tratti esistenziale e minimale, senza l'afflato mitologico della Storia ma arricchito da un'umanità dolente e minuta che nelle opere più conosciute costituisce solo una parte marginale della sua poetica.
Zandonai, piccola casa editrice trentina che da anni si è ritagliata un'interessantissima nicchia nel mondo dell'editoria a forza di pubblicare piccoli gioielli di letteratura mitteleuropea, ha scelto così di radunare alcuni racconti brevi di Andric, tratti dai numerosi libri di scritti del narratore di Travnik. Piccole perle contemporanee scritte dal 1934 al 1964, che raccontano il disagio della famiglia piccolo borghese alle prese con una società cannibale rigida («La festa»), e ritraggono scene di villeggiatura in cui sguardi e parole vagano dal mare al ricordo («La donna sulla pietra»), dai piedi di una bagnante che giocano sotto il tavolo («La danza») alle fantasticherie di uno scrittore immerso nel blu dell'Adriatico («Ferie al Sud»). Sono frammenti montaliani di sole e sensazioni, lirici e commossi, che ci mostrano un Andric diverso, con echi di Kafka e Dostoevskij (il travet ubriaco che si sente «più piccolo di un seme di papavero»). Il filo conduttore rimane la donna, scossa dalle sue pulsioni irrazionali e dai suoi bisogni, così intimamente compresi e resi in parola da Andric. «La maltrattata», ad esempio, è indicativo dell'attenzione con cui viene ritratta la degenerazione dei rapporti, quella «solitudine gioiosa» che si trasforma in un legame doloroso e insopportabile pur senza alcun atto di violenza fisica.
Più curiosa e delicata che indimenticabile, più gustosa e particolare che irrinunciabile, La donna sulla pietra diventa così «un fuoco ricco e prezioso» di personaggi e situazioni, in cui la modernità di Ivo Andric si affranca dal pesante e ingombrante fardello delle sue produzioni più complesse e mitiche. Una maniera di alzarsi in volo, piano e senza ostentazione, sopra la Storia.

Per raccontare quelle piccole storie consumate tra una camera d'albergo e il parco Kalemegdan di Belgrado, tra una cucina avvilita e le grandi terrazze roventi della Dalmazia, tra donne senza parola e professori appesi all'eterno fascino femminile.

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