"Prostituta a 64 anni per pagare le cure a mio marito"

Batte una delle strade a ridosso delle campagne di Marigliano. La chiamano la "prostituta vecchia", è la più anziana tra le donne che vanno a vendersi in quell'angolo di periferia

"Prostituta a 64 anni per pagare le cure a mio marito"

Sabato mattina. In mezz’ora due clienti. A un metro, un contadino lavora la terra. Dentro una casupola diroccata Alina consuma rapporti sessuali a pagamento. “La prostituta vecchia”, così la chiama qualcuno che bazzica in zona. È, evidentemente, la più anziana tra le decine di donne che abitualmente battono le strade di periferia a ridosso delle campagne di Marigliano, in provincia di Napoli. “Ho 64 anni, faccio la puttana per pagare le cure a mio marito”, racconta. Alina è il nome di fantasia che scegliamo di darle. Si rifiuta di raccontare in prima persona, in forma anonima, la sua esperienza. “Non voglio avere altri problemi, ne ho già troppi”, dice. Ma con videocamere e microfoni spenti decide di aprirsi. Mette in vendita il suo corpo alla luce del sole, nel mezzo di un campo arato. Aspetta clienti su una sedia sgarrupata, all’ombra di una di quelle casette utilizzate dai contadini come rifugio e rimesse per gli attrezzi e che da qualche anno sono diventate camere da letto per molte delle prostitute che ogni giorno vanno a vendersi in quella parte isolata della provincia napoletana. C’è l’area dei transessuali, quella delle africane. Un paio di donne sono probabilmente originarie dell’Est. Poi c’è Alina, che da anni si piazza sempre nello stesso posto.

“Sono quattro anni che faccio la prostituta, da quando mio marito è allettato”. Dice di vivere in un comune in provincia di Caserta. Ma nelle campagne di Marigliano, non raggiungibili con mezzi pubblici, e lontane almeno una decina di chilometri dai più vicini centri cittadini, ci arriva senza auto o moto. Prova a smontare seccamente il dubbio che dietro di lei ci sia un “protettore”. È una delle meretrici meno appariscenti nel raggio di 5 miglia. Indossa semplici maglie accollate e dei pantaloni neri. Dalla sua alcova, ricavata in quella rimessa abbandonata dai contadini, esce anche con pantofole e calzini ai piedi. Così saluta uno dei suoi clienti. Hanno appena consumato, al riparo di quella casupola di cui sono rimaste in piedi tre pareti su quattro, sotto un tetto fatto di lamiere di amianto spezzettate. La presenza di quel materiale nocivo non basta a farla andare via. Alina rifiuta l’idea di cambiare posto: “Dove vado? Tutti i posti qui sono già occupati”. Ogni prostituta, quindi, ha una postazione definita. Occupa una fetta di suolo circoscritta, oltre la quale non può andare. Nessuno può invadere l’area delle concorrenti. “Una volta sono rimasta bloccata qui con la macchina e delle ragazze mi hanno assalito pensando che volessi prendermi il loro posto”, racconta una donna che per lavoro si trova spesso a passare per quella strada.

Alina arriva in mattinata e va via nel pomeriggio, come le altre prostitute. E per almeno 7 ore al giorno respira polvere di amianto per guadagnarsi da vivere vendendo il suo corpo. Impensabile che possa indossare una mascherina. Rifiuta categoricamente l’idea: “Dopo chi ci viene più da me?”. “Tanto l’anno prossimo vado via, ho deciso di ritornare in Polonia”, sbotta. Racconta che buona parte del suo budget mensile se ne va per i medicinali e l’assistenza al marito, poi c’è l’affitto da pagare. “Mi restano 50 euro. Come faccio a vivere con 50 euro?”, sbuffa. Alina si prostituisce nell’indifferenza di quei contadini che continuano a lavorare la terra a pochi passi da lei. Mentre si concede all’ultimo avventore arrivato, fuori c’è un uomo che lavora la campagna, che imperterrito continua ad andare avanti e indietro dalla sua macchina mentre sotto il suo naso ci sono la terra seminata e i campi ricchi di prodotti agricoli, ma anche delle lastre di amianto rotte e e del sesso praticato in quelle condizioni. La sua auto è ferma proprio vicino a quella dell’uomo appena entrato nell’alcova di Alina. Quando gli facciamo notare lo stato in cui si trova quel posto e gli indichiamo l’amianto danneggiato, risponde: “E che fa? Dove sta? Io vengo solo il sabato qua”. Dice che quella struttura dove si prostituisce Alina è di un altro proprietario. Quando gli chiediamo se il personale del Comune è mai intervenuto in quella zona, risponde: “Il Comune viene qua?”. Gli facciamo notare che l’amianto danneggiato è pericoloso per la salute. I suoi prodotti, quelli che mangia e magari vende pure, sono esposti a polveri nocive. Ma per lui non sono più pericolose delle “pagliuccate”, termine con cui nel dialetto locale si indicano le mazzate o i colpi di fucile: “Ma che fa male? Fanno male le pagliuccate”, afferma. E, imperturbabile, continua a caricare attrezzi nell’auto. Dall’esterno si vede il volto del cliente di Alina sporgere dalle lenzuola che chiudono la casupola agli occhi esterni dal lato sprofondato.

Il sindaco del Comune di Marigliano, Antonio Carpino, il mese scorso ha emesso un’ordinanza che vieta ai residenti di entrare in contatto con chi svolge attività di meretricio su strada, pena una sanzione di 500 euro. Tra le forze dell’ordine qualcuno ci dice che di multe ne vengono fatte: “Sono 500 euro ogni volta e pagano pure subito, per non avere problemi”. I clienti però non mancano, e arrivano da ogni dove. Non è raro assistere a scene di sesso all’aperto. Come Alina, sono tante le prostitute che si vendono in pieno giorno in quella zona. La maggior parte è originaria di diversi Paesi africani. Qualcuna sottovoce svela che è obbligata a prostituirsi. Lì non vuole starci, ma deve. “Mi servono soldi per la mia famiglia, altrimenti non posso andare via”, rivela una ragazza. Ha circa 20 anni di età.

Le prostitute africane sono tutte giovanissime e vanno via nel pomeriggio, a bordo di diverse auto che passano a prenderle. Salgono in macchina in tre o quattro e si allontanano, per poi tornare il giorno dopo, nello stesso posto, alla stessa ora e nell’indifferenza di tutti.

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