Matteo Messina Denaro, il "boss fantasma" e i 30 anni di latitanza

Matteo Messina Denaro, morto oggi all'età di 62 anni, ha trascorso gli ultimi 30 da latitante

Matteo Messina Denaro, il "boss fantasma" e i 30 anni di latitanza
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"Prima o poi lo prenderemo". Era questa la promessa dei vari ministri dell'Interno e degli investigatori che, in questi anni, si erano cimentati invano nella cattura del boss di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, morto oggi all'età di 62 anni.

L'ultima "primula rossa" di Cosa Nostra, arrestata il 16 gennaio, aveva cominciato la sua latitanza dopo la cattura di Totò Riina, avvenuta trent'anni fa. Mentre la polizia scientifica aggiornava l'immagine giovanile del boss cercando di renderla quanto più simili alla sua età di 60enne, le indagini sui suoi affari proseguivano e il suo impero veniva pian piano demolito. Attorno a lui si stringeva sempre di più la morsa degli inquirenti che, indagie dopo indagine, smontavano la sua rete di protezione che lo ha reso quasi invisibile per tutti questi anni, consentendogli persino di diventare padre per ben due volte. La figlia, forse, non ha mai conosciuto suo padre e ha trascorso la sua l'infanzia e l'adolescenza in casa della nonna, poi con la madre ha cambiato residenza, mentre dell'altro figlio si sa molto poco. Si chiama Francesco, è nato tra il 2004 e il 2005 proprio laddove Matteo Messina Denaro ha costruito e ha gestito il suo potere, ossia nella provincia di Trapani, tra Castelvetrano e Partanna. Il grande boss, anche durante la latitanza, amava vestire da playboy con i Ray Ban, le camicie griffate e un elegante casual. I videogiochi e i fumetti, soprattutto Diabolik che divenne anche uno dei suoi tanti soprannomi, erano tra i suoi hobby preferiti. Amava i grandi beni di lusso come le Porsche e i Rolex d'oro.

Chiamato anche "'U siccu": testa dell'acqua, cioé fonte inesauribile di un fiume sotterraneo, Matteo Messina Denaro sapeva tenere insieme la tradizione e la modernità del sistema criminale mafioso. Temuto per la sua ferocia e il suo pragmatismo, era considerato l'erede di Bernardo Provenzano e del padre don Ciccio, morto latitante nel 1998 quando Matteo Messina Denaro era latitante già da cinque anni. Dal '93 fino al giorno della sua cattura era riuscito a sfuggire a numerosi blitz, sebbene su di lui pendesse una taglia da un milione e mezzo. Nel corso degli anni sono stati arrestati anche la sorella Patrizia, il fratello Salvatore, i cognati e un nipote, oltre a numerose persone che gli facevano da prestanome.

Condannato all'ergastolo per associazione mafiosa, omicidi, attentati, detenzione e trasporto di esplosivo e, ovviamente, è ritenuto responsabile delle stragi del '92 in cui furono uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Si vantava di avere "ucciso tante persone da riempire un cimitero", dopo gli arresti di Totò Riina e di Bernardo Provenzano, ma non è stato capace di di ricostruire la struttura unitaria di Cosa Nostra.

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