“Mi è venuto in mente solo dopo essere stata ascoltata in Procura. Adesso è un ricordo molto nitido: non ricordo l’anno. Era sera e alla televisione si stava parlando del Mostro di Firenze. Passando davanti alla tv, mio marito sbottò: ma cosa ne sanno questi. Questa è una storia che non finirà mai. Sono le uniche parole che mio marito abbia mai pronunciato di fronte a me su questa vicenda”.
Sono dichiarazioni inedite raccolte da IlGiornale.it. Parole che, rilette oggi, a distanza di così tanti anni senza una verità nemmeno apparente, sembrano profetiche. A riferircele è Alma Petri, vedova di Emanuele Petri, l’agente ucciso nel 2003 in uno scontro a fuoco con i brigatisti Mario Galesi e Nadia Desdemona Lioce. Un ricordo emerso solo dopo essere stata ascoltata dai magistrati perugini come persona informata sui fatti relativamente alla vicenda Narducci.
Un nuovo tassello che si aggiunge alla già intricata vicenda legata ai delitti del Mostro di Firenze. Una storia non inedita [su internet se ne trova traccia, ndr], ma che solo ora viene portata all'attenzione del grande pubblico. Lo fa Giuliano Mignini, ex magistrato che si è occupato dei misteri che avvolgono la morte del medico Francesco Narducci, che ha raccontato un aneddoto molto interessante.
Nel 2004, indagando sulla figura di Francesco Narducci, Giuliano Mignini ascolta Enzo Ticchioni, un pescatore del lago Trasimeno. Al termine del verbale, l’uomo aggiunge un particolare fino a quel momento taciuto. Il 7 ottobre del 1985 – esattamente il giorno precedente la scomparsa di Narducci – il suo amico poliziotto, Emanuele Petri, gli avrebbe raccontato che il giorno precedente – 6 ottobre – lui e un altro collega hanno inseguito senza successo una moto sulla strada che da Firenze, passando per Arezzo e Cortona, arriva al Trasimeno.
A guidare la moto, che semina i poliziotti all’altezza di Terontola, Francesco Narducci. Il motivo dell’inseguimento? Secondo Ticchioni, il poliziotto gli confida che già da molto tempo erano alle costole del medico perugino, in quanto in una casa di sua proprietà nei pressi di Firenze erano stati ritrovati dei feticci umani, precisamente le parti anatomiche femminili asportate alle vittime dei delitti del Mostro di Firenze.
Di questa circostanza – che Ticchioni nel corso dell’incidente probatorio dice di non ricordare – non restano riscontri. Non un verbale di servizio, non una testimonianza ulteriore da parte di qualche collega di Petri, né alcuna notizia circa la delega alle indagini. Mignini, che nel corso della puntata dice di aver avuto un riscontro da parte della moglie del farmacista Francesco Calamandrei – assolto nel 2008 dal sospetto di essere lui il Mostro di Firenze -, che, ascoltata in un ospizio, alla vista della foto di Narducci gli avrebbe detto che la stessa foto le era stata mostrata proprio da Petri, avanza l’ipotesi che l’agente rimasto vittima delle Nuove Brigate Rosse, a cavallo degli anni Ottanta, possa aver svolto operazioni d’intelligence per qualche servizio segreto.
Un’ipotesi, certo, ma che spiegherebbe l’assenza di riscontri oggettivi. Un'ipotesi cui le dichiarazioni inedite di Alma Petri non fanno che aggiungere punti di domanda: “Emanuele non parlava mai del suo lavoro, era un uomo molto riservato. Non ritengo credibile che si sia confidato con qualcuno in questi termini, sebbene fosse un amico. Certo, però non posso escludere nulla, tutto è possibile. È un mistero che anche a me piacerebbe dipanare”.
Alma Petri, che non conosce Enzo Ticchioni, ci racconta dello scrupolo con cui il marito portava avanti il suo lavoro e ci conferma che nei primi anni Ottanta, sicuramente fino al 1984, Emanuele lavorava a Firenze, all’Autocentro di Pubblica Sicurezza in via Francesco Baracca.
"Non escludo che mio marito possa essersi interessato alla vicenda del Mostro di Firenze per interesse personale o per ragioni professionali, ma non ho alcun elemento a parte quelle parole dette d'impeto".Parole che, lo sottolineiamo ancora una volta, sembrano profetiche. Quella del Mostro di Firenze è una storia che non finirà mai.
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