"Fu violenza familiare, non rapimento". La nuova teoria che scuote il caso Orlandi

"Credo che sia stato un normale caso di violenza", ipotizza il giornalista e scrittore Pino Nicotri

"Fu violenza familiare, non rapimento". La nuova teoria che scuote il caso Orlandi

Sulla base di nuovi elementi emersi in seguito all'audizione della Commissione bicamerale costituita per far luce sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, andata in scena nella giornata di giovedì 10 ottobre, pare plausibile poter affermare che la 15enne cittadina vaticana "non fu rapita".

Di questo, per lo meno, si dice convinto il giornalista e scrittore Pino Nicotri: "Credo che sia stato un normale caso di violenza, una prepotenza finita male di un membro del cosiddetto giro amical-familiare", spiega, "potrebbe essere stato un amico di famiglia, un cugino uno zio". Bisogna comunque considerare il fatto che, proprio per esplicita richiesta di Nicotri, una gran parte di tale audizione, della durata complessiva di 3 ore, è stata secretata.

I commissari hanno chiesto al giornalista cosa lo abbia spinto ad avanzare un'ipotesi del genere: oltre ad aver illustrato alcuni elementi chiave raccolti nel corso delle sue ricerche e indagini, parte dei quali confluiti nei libri da lui scritti sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, Nicotri ha puntato il dito contro la grande esposizione che la vicenda ha avuto negli anni. "C'è una cosa che taglia la testa al toro", considera lo scrittore, "se tu metti in giro per tutta Roma il numero di casa tua con i manifesti su un caso come questo, ovvio che si scatena la mitomania, ma non è un complotto". "L'ipotesi più semplice è quella che viene eliminata", dichiara, "e ricordo che non è mai stata fornita una prova del rapimento, poi tutto il contorno delle telefonate alla fine sono una roba che non serve a niente".

Nel caso, secondo il giornalista, avrebbe avuto un ruolo determinante lo zio della ragazza, Mario Meneguzzi, un tema su cui Nicotri si è dilungato in modo particolare. La secretazione è partita proprio dopo la risposta a una specifica domanda inerente questo aspetto specifico fatta dal presidente della Commissione bicamerale, il senatore Andrea De Priamo. Per ciò che si può evincere dalle parti non secretate, lo scrittore ha analizzato l'alibi di Meneguzzi relativamente al 22 giugno 2023, giorno della scomparsa di Emanuela Orlandi. "Lui è stato interrogato da Sica sui suoi alibi due anni dopo, non lo deve avere convinto perché lo ha fatto pedinare", considera Nicotri, "poi la memoria dei familiari diventa, diciamo, accomodante".

A destare qualche sospetto nel giornalista ci sarebbe un elemento riportato da Pietro Orlandi nel suo libro, relativo a quanto fatto quel giorno dalla moglie di Meneguzzi. "Nel suo libro dice che la zia Anna era amorevolmente intenta a fare la pizza a casa invece poi viene fuori che era a Torano, non dico che le testimonianze dei familiari siano fasulle, diciamo smemorate". Ma quali elementi non tornerebbero in questo caso? A specifica domanda del deputato Dario Iaia, così ha replicato lo scrittore: "Per quanto riguarda Torano, ho letto su Facebook una Meneguzzi che ha detto che da Torano a Roma ci sono 300 km invece sono una novantina che si possono fare comodamente in autostrada", spiega Nicotri."Un'altra cosa non notata sufficientemente, è che Meneguzzi dice che Ercole Orlandi gli ha telefonato alle 20:30 e poi lo ha ribeccato solo a mezzanotte, ma se la zia Anna era a Torano, Mario Meneguzzi era davvero a Torano? Insomma, dove stava quest'uomo?", si domanda lo scrittore. "Nessuno ha chiesto in maniera seria ai parenti dove stava Mario Meneguzzi".

Si aggiunga a ciò anche del materiale raccolto dal giornalista e consegnato alla Commissione: si tratta di sei file di testo e di due file audio. Uno di questi sarebbe relativo a una conversazione avuta da Nicotri con don Gaetano Civitillo, e l'altro ad uno stralcio della telefonata con l'avvocato Gennaro Egidio. Quest'ultimo è particolarmente interessante per lo scrittore, dal momento che il legale non si sarebbe mostrato sorpreso della "scarsità di indagini nei confronti del Meneguzzi".

Che ruolo avrebbe invece avuto Marco Fassoni Accetti? "Era il fotografo di scena a palazzo Massimo, non distante dalla scuola di musica frequentata da Emanuela, e lui andava lì e alle feste, faceva le foto, frequentava questo palazzo", racconta lo scrittore. Ci sarebbe anche la testimonianza del figlio di un gioielliere della zona di corso Rinascimento, il quale avrebbe dichiarato che "Accetti gli avrebbe chiesto se voleva fare un provino. In quella zona ci girava, non potrei escludere che Accetti l'abbia vista in zona, anche perchè ho appurato che aveva la disponibilità di un altro negozio sempre da quelle parti ma è una pura ipotesi di scuola".

In conclusione, lo scrittore si è mostrato particolarmente scettico circa la pista londinese.

E questo innanzitutto perché una grafologa avrebbe dimostrato che "la presunta firma dell'ex arcivescovo di Canterbury George Carey" in calce a una lettera inviata al vicario di Roma Ugo Poletti nel 1993 sarebbe"una firma falsa reperita su Google da documenti veri firmati".

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