Quel "patto di sangue" tra tifosi: cosa si nasconde dietro gli scontri in A1

I tifosi di mezza Europa sono schierati contro i romanisti: dal 2014, dalla morte di Ciro Esposito, gli ultrà partenopei hanno giurato vendetta

Quel "patto di sangue" tra tifosi: cosa si nasconde dietro gli scontri in A1

Gli scontri sull'autostrada A1 di domenica pomeriggio tra tifosi romanisti e tifosi napoletani si inseriscono in un contesto molto più ampio, in un "patto di sangue" che ha origini lontane come ha spiegato il Corriere della sera. Per il tifo napoletano, storicamente legato ad ambienti della criminalità organizzata, le rivalità con gli omologhi della Roma hanno assunto un livello più alto dopo il 2014, quando proprio durante uno di questi scontri rimase ucciso Ciro Esposito. Da quel momento per i napoletani è iniziata una vera e propria missione contro i giallorossi: hanno accordi con le tifoserie di mezza Europa, tutte schierate contro il tifo romano.

"Ogni parola è vana, se occasione ci sarà non avremo pietà", scrissero gli ultras azzurri contro quelli romani nel novembre di quell'anno. Una vera e propria dichiarazione di guerra, un grido di vendetta la cui eco risuona tutt'oggi. I primi a raccogliere "l'invito" dei napoletani furono i tifosi dell'Atalanta, che in 200 assaltarono l'autobus dei tifosi romanisti: era il 22 novembre 2014. Un manipolo di bergamaschi fu arrestato dalla polizia e da Napoli partì una raccolta fondi per pagare le spese legale di quei coraggiosi "vendicatori". Così venne letta l'azione degli atalantini da parte dei tifosi azzurri, che si attivarono per dare loro sostegno, in segno di riconoscenza. "Se si picchia un romanista nessuno viene lasciato solo", è il motto sotto il quale si muovono le sommosse, dall'Italia e dall'Europa. E chi crede che siano stati un caso gli scontri del passato con i tifosi del Paris-Saint German in Francia, con quelli del Monaco 1860 e il Borussia Dortmund in Germania e con i tifosi della Stella Rossa in Serbia, non ha fatto i conti con quel famoso patto.

Nemmeno la tessera del tifoso, quella sottoscritta in massa dalla storica Curva A del tifo napoletano, è servita a qualcosa. Quella Curva, per anni gestita da "Genny a Carogna" si è saputa organizzare. Con quella tessera, sottoscritta nel 2016, hanno potuto tornare a riempire le gradinate degli stadi in trasferta, a muoversi per l'Italia pressoché indisturbati grazie a un codice segreto. Nessuna sciarpa di riconoscimento, nessun vessillo che potesse identificarli come tifosi del Napoli. Il dress-code è uguale per tutti: felpa nera con cappuccio, bastoni per bandiere rinforzate e scarpe da ginnastica con suola cava per i fumogeni. Continuano a muoversi così, con segni distintivi nei van noleggiati con i documenti di incensurati e insospettabili, con le mappe degli autogrill in cui è possibile nascondersi e sferrare gli attacchi contro la tifoseria rivale. E le fila dei tifosi violenti si arricchiscono continuamente di nuove leve grazie proprio alla tessera del tifoso.

Sono stati i pentiti di camorra a raccontarlo, spiegando che con quello stratagemma che dà una falsa percezione di sicurezza sono arrivati nelle curve giovanissimi ragazzi insospettabili, facilmente manipolabili in una curva che è sempre più spesso l'espressione della criminalità organizzata.

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