Alla fine aveva ragione Hegel: "Tanto peggio per i fatti se non si accordano alla teoria". Quindi, modifichiamo i fatti. Modifichiamo la realtà. Poco importa. E così Sergio Ramelli, il ragazzo di 17 anni del fronte della Gioventù morto dopo 47 giorni di agonia, non è più uno studente barbaramente ucciso da un gruppo di Avanguardia operaia nel 1975, ma "un picchiatore". Anzi, peggio: "Un picchiatore fascista" che, come tale, ha fatto la fine che si meritava. È questo quello che si pensa quando si leggono le frasi pronunciate oggi - in occasione della visita dell'onorevole Paola Frassinetti all'istituto Molinari, dove Sergio studiava - da Rete Milano Antifascista Antirazzista Meticcia e Solidale, dall'Anpi e dalle sigle sindacali Adl Cobas e Usb. Che, con l'intolleranza tipica dei tolleranti, manifestano contro l'esponente di Fratelli d'Italia perché "viene a raccontare un'altra storia, la loro storia", perché "Ramelli non era soltanto un ragazzo con il sorriso che andava con il Ciao come dicono". No. Ramelli era "un picchiatore fascista". E via con il giustificazionismo. Anche l'Anpi non è da meno. L'associazione dei partigiani (rossi) afferma infatti che questa cerimonia "potrebbe deviare i ragazzi su una cosa che non conoscono" con un "episodio estrapolato da una situazione storica che va contestualizzata". Come a dire: non si può parlare del povero ragazzo ucciso perché quegli anni, gli Anni di piombo, vanno raccontati usando solo i paraocchi della sinistra. Soprattutto a scuola. Ma la realtà è ancora una volta diversa, come ha ricordato il neo consigliere regionale lombardo Chiara Valcepina: "Deve essere un luogo in grado di proteggere i ragazzi, di far crescere il loro senso critico e il valore del rispetto. Rispetto che troppo spesso, come dimostrano i fatti di oggi, ancora manca. Mi aspetto che le Istituzioni, in particolar modo il Comune di Milano, prendano le distanze da chi, oggi, si è riempito la bocca di insulti e falsità”.
Ma la realtà è un'altra, rispetto a quella raccontata dalla sinistra. E la ripercorriamo con le parole imparziali del magistrato Guido Salvini che, in Sergio Ramelli. Quando uccidere un fascista non era reato (Ferrogallico), scrive: "A causa delle sue scelte politiche era stato più volte minacciato e trascinato in corteo per i corridoi dell'istituto dai suoi avversari: un'iniziativa simile alla gogna medioevale, che si può definire 'antifascista' ma anche, e forse meglio, come la pratica di una polizia parallela interna alla scuola. Aveva dovuto abbandonare il Molinari e iscriversi ad una scuola privata, pur non lasciando l'attività politica in cui credeva. Aveva continuato a militare nel Fronte della Gioventù ed era quindi, forse, tecnicamente, un 'neofascista'. Dal suo fascicolo in Questura però non risultava coinvolto in alcun atto di violenza". Questa è la realtà, descritta non da un "fascista" di Fratelli d'Italia ma da un magistrato che ha studiato le violenze di quegli anni. E che ha scritto, ripercorrendo quegli anni: "Sui muri di Milano, anzi, era comparsa più volte a vernice rossa la scritta 'Ramelli vive coi vermi' e nei cortei degli anni successivi, ritmato da centinaia di voci, si udiva lo slogan '1-10-100 Ramelli'. Non vi fu quindi alcuna riflessione, piuttosto una lugubre rivendicazione collettiva da parte dell'estrema sinistra".
La stessa estrema sinistra che oggi urla: "Vergogna lei (l'onorevole Frassinetti, ndr) e il preside". E ancora: "Fascisti carogne tornate nelle fogne". Paradossalmente, ha ragione l'Anpi.
Bisognerebbe contestualizzare quegli anni. E dire che quella estrema sinistra che imbrattava le strade di Milano con le frasi contro Ramelli non è cambiata. E che forse pensa ancora che "uccidere un fascista non è un reato".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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