Dice il generale Mario Mori: «L`arresto di Matteo Messina Denaro è una notizia positiva sotto una infinità di aspetti. Uno dei tanti è che metterà fine a troppi anni di chiacchiere sui presunti segreti custoditi dal latitante, a partire da quelli sulla fantomatica trattativa tra Stato e mafia. Finalmente i tanti cultori del dubbio elevato a sistema avranno la possibilità di sapere se avevano ragione».
E come andrà a finire?
«Credo proprio che dovranno trovare un altro obiettivo per continuare a propagandare i loro dubbi».
Per il generale Mori vedere le immagini del boss agli arresti è stato riavvolgere il film indietro di trent`anni. Perché c`era lui alla guida del Ros dei carabinieri nel gennaio 1993, quando a cadere nella rete fu Totò Riina. «E il generale Angelosanto - ricorda Mori - era un mio giovane capitano. Che oggi ci sia lui a comandare il Ros che ha catturato Messina Denaro significa che c`è stata continuità, che non abbiamo seminato male». Ma nel film che si riavvolge ci sono per Mori anche capitoli amari, i processi subiti, le accuse infondate, la riabilitazione tardiva. Su tutto, il teorema di uno Stato disposto a trattare con i criminali.
Però scopriamo oggi che il boss viveva dove era nato, che andava e veniva da Palermo. Non è incredibile che ci siano voluti tanti anni per prenderlo?
«Potrei rispondere: io per catturare Riina ci ho messo cinque mesi. Non so nel caso di Messina Denaro come siano andate esattamente le cose. La banale verità è che quando uno è latitante da trent`anni è nell`ordine delle cose che venga preso. Si poteva prendere prima? Certo. Trent`anni sono tanti, troppi. Ma per catturare uno che non è un banale ladro di polli, uno che fa parte di un livello di criminalità superiore, serve una struttura delegata esclusivamente a lui. Con gli apparati dei singoli organi di polizia non si arriva da nessuna parte, o ci si arriva dopo. Dal mondo esterno non si capisce, ma nell`ambito di polizia e carabinieri questa necessità è data per scontata. Purtroppo le cose vanno diversamente. Il nostro sistema di polizia non funziona come dovrebbe».
Messina Denaro ce lo avevano descritto come un giramondo, ogni tanto lo localizzavano qua e là per il pianeta, invece era qui, in Sicilia.
«Lo hanno preso a Palermo, ma lui è certamente un mafioso di tipo moderno, una generazione più evoluta di quella dei Provenzano, dei Riina dei Badalamenti. Uno di questi a Memphid o ad Amburgo si sarebbe trovato come Totò e Peppino in piazza del Duomo».
Adesso parte la caccia al suo covo, ai documenti, ai segreti. E inevitabilmente ripartirà la polemica sulla mancata perquisizione da parte vostra del covo di Totò Riina.
«Per quella vicenda, come è noto, siamo stati tutti assolti con formula piena. Io ovviamente non posso dire cosa verrà trovato nella abitazione di Messina Denaro, ma di una cosa sono sicuro: se un latitante di Cosa Nostra vive in una casa insieme alla famiglia, non terrà mai in quella casa nulla di compromettente, perché questo farebbe finire in carcere sua moglie o sua figlia, e sono cose che ai mafiosi dispiacciono».
Seguendo Messina Denaro forse si sarebbe potuto capire di più sulla sua rete di protezione, invece lo hanno bloccato appena individuato. Avranno avuto paura di finire un`altra volta nelle reazioni dei dietrologi se fosse riuscito a sparire?
«No, io non credo. Conosco bene il Ros, conosco bene Angelosanto, è gente preparata.
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