Negri, la maestrina dalla penna grigia che dava colore al cuore delle donne

Ricche signore e contadine, dattilografe e nonne: le sue femmine non femministe

Negri, la maestrina dalla penna grigia che dava colore al cuore delle donne

In tempi di dibattiti sul fascismo, merita qualche riga la posizione di Ada Negri (1870-1945) nei confronti del regime. La poetessa e narratrice lodigiana non fu fascista nel senso stretto dell'«intellettuale organico», semmai in quello più lasco di tifosa silenziosa e affidabile. Ma più che mussoliniana, lei fu benitiana, perché si era legata di una profonda amicizia al Mussolini socialista, e quell'amicizia la coltivò fino alla fine, ottenendone qualche favore personale: ad esempio nel '26 la candidatura al Nobel; nel '28 la scarcerazione dell'amica e concittadina anarchica Nella Giacomelli, accusata di connivenza con Gino Lucetti, attentatore del Duce due anni prima; nel '39 il silenziamento di un recensore assai critico; nel '40 l'entrata nell'Accademia Reale d'Italia. Insomma, invocare l'assoluzione della Negri per mancanza di prove sarebbe impossibile, soprattutto di fronte alla lettera a Mussolini del 19 giugno '24, in cui il delitto Matteotti di nove giorni prima non scalfisce la «certezza che Voi saprete, a costo di tutto, purificare l'ambiente, e usare del ferro chirurgico fino in fondo»...

Tuttavia, c'è la questione femminile. Una questione che per Ada Negri è il tema. Dalla fondazione a Milano, il 14 dicembre 1902, dell'«Asilo Mariuccia», sostenuto dal «Comitato italiano contro la tratta delle bianche», ovvero contro la prostituzione, alle innumerevoli manifestazioni di sorellanza. Per il Fascismo la donna aveva da essere moglie fedele e madre iperproduttiva. Una condizione di cui Ada Negri, alla fine degli anni Venti, mette in evidenza i lati negativi, i vincoli, gli stati d'animo irrisolti e conflittuali. Lo dimostra la sua raccolta di Sorelle (Neri Pozza, pagg. 190, euro 16): ventuno ritratti di donne del presente e del passato, quasi tutte conosciute personalmente. Qui l'«io», quando non è direttamente coinvolto nelle vicende resta in consonanza con la protagonista, le si pone a fianco senza badare alle distinzioni di censo, di estrazione, di cultura, di età. Le Sorelle di Ada Negri sono sì fedeli al marito o al fidanzato, e sono sì madri amorose, ma per nessuna di loro esserlo significa vivere in una bolla idilliaca. Dice bene Massimo Onofri nella Prefazione parlando dell'«io biologico femminile» come della materia di queste prose, e dice bene anche Renato Serra, che Onofri cita, cogliendo la «giovinezza nel grigio» di queste donne, ovvero la loro seconda fioritura, pur nella terra arsa dai drammi familiari.

La galleria si apre con La Cacciatora, la più anziana del gruppo. Non per l'età, essendo fra i 35 e i 40, ma per l'anno in questione, il 1888, quando la diciottenne Ada insegna alla classe prima dei maschi a Motta Visconti. La Cacciatora è chiamata così perché, vestita come gli uomini che battono i boschi con il fucile in spalla, si aggira solitaria nel paesaggio selvoso. La maestrina la chiama «Eddie», perché viene dall'America e quel nome le si addice. «Eddie» suscita una «curiosità morbosa, malsana» tra la gente che sottovoce dice «l'è un'anima intraversàda»: ma attenzione, sta per introversa, non per invertita. Un uomo l'aveva, tanti anni prima, ed era bello, atletico, sicuro di sé, ma a un certo punto s'eclissò. «Avevo perduto il mio uomo: non volli più essere una donna», afferma «Eddie». E alla maestrina profetizza: «Tu sarai quella che scriverà la mia storia».

Seguono, fra le altre e in ordine sparso, Zia Plautilla, 79 anni, ospite del milanese Pio Albergo Trivulzio: «La riconoscenza dei figli? Va là biondina! Non usa più»; la Lionarda di Niobe, nove figli, di cui sei morti e due emigrati in America, le resta la piccola, malaticcia Nicoletta, condannata a una vita «all'ombra della portineria» del palazzo signorile dove Lionarda si spacca la schiena sgobbando come un mulo (anche l'autrice ebbe la sua formazione di bambina «all'ombra della portineria» dove lavorava la sua nonna Peppina Panni); l'Eurasia di Sora Ro', sei figli allevati nell'Umbria rurale che Ada Negri ben conosceva, essendo la terra del suo moroso storico, il giornalista e socialista Ettore Patrizi, e dove trascorre, sempre lavorando sodo, una «giovinezza sessantenne»; La Barila settantenne, ancora in Umbria, tre figli che la ignorano e un marito ora infermo ma che un tempo la picchiava e che lei, cocciuta, continua ad amare e onorare...

E se la provincia o la casa di riposo sono immutabili spazi che sanno d'antico, la metropoli Milano, già somigliante a quella di Buzzati e di Bianciardi, ospita una fauna di signore bene come potrebbe essere La mamma del piccolo Fosco, caduto giocando al tiro a segno; o la Signora con bambina colta in un'istantanea che ne rivela i tormenti interiori; o Maddalena, autrice di Una lettera indirizzata a un'amica e che in un déjà vu fuori dalla Stazione Centrale vede materializzarsi il fantasma dell'uomo amato: «La rivelazione del nostro vero essere non ci vien concessa che in dati momenti; e fa come il lampo, folgora e si spegne d'un tratto; ma lascia nel cervello il tagliente profilo della zona che ha scoperta nelle tenebre». E infine le umili incasellate negli uffici, le dattilografe.

La donna inginocchiata nel Duomo che si prostra tra un fascio di garofani rossi come una penitente medievale, custodendo chissà quale dolore. E la Bigia di Cinematografo, bruttina, invisibile a tutti, che nel buio della sala sogna di essere come Mary Pickford o come Mae Murray e, fuori, si rituffa, letteralmente, nel traffico.

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