Col trascorrere del tempo il pensiero di Augusto Del Noce (1910-1989) ha assunto la dimensione di un «classico». Un autore di riferimento per gli studi filosofico-politici. Quest'anno è uscito un saggio di un maestro degli studi storici, Francesco Perfetti: Dove va la storia contemporanea. Augusto Del Noce e l'interpretazione transpolitica (Nino Aragno Editore). L'autore sottolinea come in Del Noce la filosofia abbia una portata «epocale», poiché esprime il proprio tempo in pensiero. Renzo De Felice incasellò le analisi di Del Noce nell'«interpretazione transpolitica» del fascismo. Ma Del Noce è andato oltre, elaborando una «interpretazione filosofica della storia contemporanea».
Ora arriva un saggio di Luciano Lanna: Attraversare la modernità: Il pensiero inattuale di Augusto Del Noce (Cantagalli, pagg. 496, euro 28), con la bella presentazione di Giacomo Marramao e un inedito di Del Noce datato 1961. Marramao ricorda giustamente che il pensatore torinese «è stato un filosofo fuori squadra, decentrato nell'accademia come in politica». Verissimo. Del resto, un altro storico di valore, Ernesto Galli della Loggia, completa il giudizio: «alzava la sua voce isolata, sfidando il proprio tempo, forte solo della propria passione e della lucidità del proprio ingegno». Come ci chiarisce la documentata e misurata ricostruzione di Lanna, Del Noce deve considerarsi un filosofo della politica cattolico che si rifà al pensiero della Tradizione. E, senza girarci troppo intorno, se c'è un settore della cultura italiana che lo ha abbandonato, dimenticato, rimosso e spesso addirittura travisato, sono stati proprio i cattolici.
Naturalmente non tutti i cattolici. Ma la stragrande maggioranza. Ciò è avvenuto per una semplice ragione. La tendenza maggioritaria del cattolicesimo politico, supinamente arrendevole alle idolatrie della contemporaneità, ha trovato dimora accogliente nel progressismo. Ragionare, studiare, valorizzare un pensatore oppostosi con tutte le forze al progressismo (cattolico e non) era impossibile. Pertanto, meglio metterci una pietra sopra. Del Noce, in ordine di tempo, come chiarisce Lanna, deve considerarsi l'ultimo esponente della filosofia cattolica novecentesca, da Augusto Guzzo a Gustavo Bontadini, da Michele Federico Sciacca a Enrico Castelli. Uno studioso di grande rigore impegnato a contemplare il proprio tempo. Senza timore di andare controcorrente. E diventando un appartato «profeta inascoltato». Un «inattuale». In certi ambienti un «imperdonabile», come lo ha classificato Marcello Veneziani.
Del Noce ha sostenuto con fermezza il pontificato di Giovanni Paolo II. Da subito ha compreso l'importanza di Joseph Ratzinger, «custode della fede». Ne ha condiviso, senza riserve, la contrapposizione alla «teologia della liberazione». È stato un filosofo della politica, sin dal 1936 dichiaratamente antifascista. Ma altrettanto dichiaratamente anticomunista e antitotalitario. Riteneva però, dall'immediato secondo dopoguerra, che il problema della dialettica fascismo/antifascismo andasse definitivamente superata, per aprire, come lui si augurava, un nuovo «orizzonte postfascista». In un'età ormai lontana aveva anche profetizzato il «suicidio della rivoluzione» comunista (era il 1978), quando la vasta e potente schiera dei «trombettieri» ne magnificava un futuro radioso.
L'invito formulato da Del Noce di superare il pensiero di Antonio Gramsci venne inaspettatamente raccolto da pensatori quali Marramao e Massimo Cacciari, i quali iniziarono la loro personale revisione del marxismo. E nella stessa età, all'apparizione della parola magica coniata da Enrico Berlinguer, «eurocomunismo», sparò a palle incatenate. La raccolta di riflessioni contenute in L'eurocomunismo e l'Italia (una quindicina di articoli apparsi su Il Tempo, Il popolo e Il Settimanale tra il 1974 e il 1976) non trovava un editore. Giampaolo Cresci fondò a Roma la Editrice Europa informazioni. E da quella iniziativa nacque il mensile Prospettive nel mondo, coraggioso laboratorio dell'opposizione cattolica e tradizionalista al «compromesso storico» e al «cattocomunismo». Del Noce, inoltre, fornì una chiara disamina del «Sessantotto pensiero»: il libertinismo dilagante, legatosi al liberismo radicale, avrebbe portato alla «società pornografica».
Analisi di un vecchio bacchettone angosciato dalle novità? A questa osservazione rispose, come sua abitudine, in termini filosofici. Uno dei padri del liberalismo moderno, Bernard de Mandeville, suggeriva la soppressione delle case di soccorso alla povertà, rimpiazzate dall'apertura delle case di tolleranza. A Del Noce si deve l'invito a riflettere su una tematica teologica, filosofica e sociologica: la «secolarizzazione». L'affermazione della società neoborghese (la definiva «opulenta») stava recidendo ogni retaggio religioso, attanagliata da potenti forze congiunte: ateismo, radicalismo, materialismo, internazionalismo, dominio della produzione, eliminazione della sacralità religiosa e nazionale. Il filosofo era persuaso che il cattolicesimo avrebbe vissuto una seconda stagione «modernista»: stavolta vincente. E che i partiti di ispirazione cattolica sarebbero evaporati, spostandosi non solo verso sinistra, ma addirittura su posizioni di sinistra estrema.
Gli studi di Perfetti e Lanna hanno tolto la polvere alle opere di Del Noce, relegate nella muffa del sottoscala. Il grande, mastodontico pensatore cattolico, in vita è stato emarginato dall'egemonia culturale della sinistra, prima comunista e poi «politicamente corretta», alla quale nell'ultimo ventennio si è accodato, con scarso criterio, il pensiero «cattolicamente corretto». Lo studio di Lanna rovescia un'accusa priva di fondamento, spesso rivolta a Del Noce: il suo sarebbe un pensiero «antimoderno». Casomai è vero il contrario. Al «postmoderno» progressista Del Noce oppone un'accettazione della «modernità» che non ha bisogno di recidere le radici della Tradizione, del Sacro, della Nazione. Del Noce non Benedetto Croce ha attualizzato il pensiero di Giovan Battista Vico.
Alla pari di Giovanni Gentile ha «pensato l'Italia» con l'ansia del «riformatore». Però con uno sguardo di segno opposto a quello gentiliano: la necessità di una «riforma cattolica». Lo aveva annunciato nel 1964, nello studio Il problema dell'ateismo. Partiva da lontano. Ma era proiettato nel futuro.
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