S trane cose accadono in questo Paese e Twitter ne è lo specchio distorto. Avviene questo. Per la prima volta gli allegri anticapitalisti del movimento No Tav subiscono le prediche e lo sdegno di quelli che per professione sono perennemente indignati. Cosa cavolo è successo di così grave? Sabato 28 gennaio i No Tav manifestano a Torino. C’è aria di grande attesa. Qualcuno teme il peggio. Si parla di scontri e alta tensione. Questa volta invece non avviene nulla di così straordinario. Solita roba. Fumogeni, una carriola piena di macerie, qualche coro per ricordare il barbiere di Val di Susa arrestato due giorni prima, un gruppo di clown che bloccano la stazione di Porta Nuova, il colonnato di via Po scarabocchiato con la scritta «Più Valli meno Monti» e poi tutti a casa. Danni. Ma c’è di peggio.
Solo che prima di andare via un gruppetto di manifestanti passa davanti alla ex sede della Stampa, dove accanto c’è una libreria, e visto che è avanzata un po’ di vernice decidono di imbrattare la saracinesca e scrivere in stampatello bello grosso «SERVO». Pennellate di vernice nera vengono lanciate anche sulla porta della libreria, al numero 82 di via Roma, e scivolano giù a macchiare un poster di un padre della patria, un filosofo torinese. È Norberto Bobbio.
E qui comincia lo scandalo. Uno dopo l’altro si susseguono messaggi su Twitter sempre più indignati. Servo Bobbio? Vergogna, bestemmia, condanna. «Chi infanga l’immagine di Bobbio è un fascista. Anche rosso. Ma il metodo è quello». «Piero Fassino faccia cancellare subito e noi riflettiamo su stop a intolleranti». «Cancellare Bobbio con lo spray è come il gas di scarico di certi Suv». Poco a poco s’indignano tutti. Bobbio diventa una delle parole chiave di giornata. Antonio Polito scrive: «Nessuno tocchi Bobbio». Uomo in polvere piange: «Sembra che gli abbiano sputato in faccia». I Wu Ming riportano su Giap anche un intervento di Gianni Riotta. Ma non c’è più. La morale è che la «vandalata» ferisce nell’anima molti di quelli che hanno solidarizzato con i No Tav. Qualcuno ipotizza che gli anti Bobbio siano agenti provocatori dei servizi segreti.
Ora, qui, da queste parti, nessuno pensa che sia una bella cosa verniciare Bobbio, a meno che non ti chiami Andy Warhol, ma ci dispiace anche per chi magari doveva prendere il treno, o per le vetrine di ignari commercianti sfasciate qua e là e soprattutto per i 220 agenti e carabinieri feriti in questi anni di proteste. La vernice sul poster di Bobbio viene dopo. Questi No Tav fossero un po’ vandali? Lo erano già prima, prima di Bobbio.
Il finale poi sa di commedia dell’assurdo. I No Tav giustamente si difendono da tutta questa indignazione. «Noi non abbiamo sfregiato la foto di Bobbio, anche perché non sappiamo chi sia». La beffa è che è stato un errore. Come raccontano i Wu Ming, scrupolosi sostenitori del movimento No Tav, «il vero bersaglio polemico di quella scritta» è il giornalista della Stampa Massimo Numa. «I No Tav denunciano da tempo - denunciano in senso stretto - non solo gli articoli, ma anche presunti comportamenti da guerra sporca».
Bobbio era lì per caso, vittima di una pennellata vagante. Il gruppetto armato di vernice aveva un conto aperto con Numa, una storia finita in tribunale. Il servo è Numa. Bobbio è salvo. Ora ti aspetti che la questione non cambi. Ti aspetti su Twitter non un’indignazione profonda, ma almeno un sentimento di solidarietà. Qualcuno che dica: vabbè Bobbio o Numa il principio non cambia. Anche perché magari a Bobbio, con tutto il rispetto, magari non frega neppure nulla di quello che dicono i No Tav, visto che non è più di questo mondo. Numa invece il servo se lo prende in faccia.
Niente. L’indignazione si sgonfia. Con un sospiro di sollievo la rete prende atto della precisazione accurata dei Wu Ming, che perlomeno fanno vera informazione, e tutti si limitano a dire: tranquilli, era una bufala. I No Tav non sono così vandali e cattivi. E Numa? E il proprietario della libreria? Chi se ne frega. L’importante è salvare la faccia di Bobbio, che oltretutto avrebbe guardato con un certo sospetto qualsiasi atto vandalico. Questa è l’Italia dei benpensanti. Salvo il filosofo, il resto non conta.
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