Vientiane Dal 1964 al 1973 gli Stati Uniti hanno condotto in Laos una «guerra sporca» che ha trasformato lo Stato indocinese nel Paese più bombardato della storia. Oltre due milioni di tonnellate di ordigni lanciati in più di 580mila raid aerei, l'equivalente di una bomba ogni otto minuti per nove lunghi anni consecutivi. L'obiettivo degli americani, che hanno speso circa 13 milioni di dollari per ogni giorno di bombardamenti, era quello di sostenere i guerriglieri Pathet Lao, contrari all'alleanza tra i comunisti laotiani e quelli del vicino Vietnam in guerra contro Washington. E, soprattutto, tagliare i rifornimenti ai vietcong, distruggendo quello che veniva chiamato il «sentiero di Ho Chi Minh», ovvero una rete di strade che andavano dal Vietnam del Nord a quello del Sud, attraverso le Nazioni confinanti del Laos e della Cambogia, che serviva per portare supporto logistico e approvvigionamento.
Più di 270 milioni di bombe sganciate erano a grappolo, ciascuna composta da circa duecento sotto «munizioni». Una volta lanciate, si aprono in volo, rilasciando le altre che dovrebbero esplodere al suolo. Se sono difettose, però, non detonano. Ma conservano il loro potenziale distruttivo per lunghi periodi. E, a distanza di oltre quarant'anni, quando ormai quasi nessuno si ricorda più della guerra in Vietnam, in Laos questo rimane un problema devastante. Gli Uxo, acronimo di Unexploded Ordnance, così come vengono chiamate dagli addetti ai lavori le bombe inesplose, continuano a fare morti e feriti, sia tra gli adulti sia tra i bambini. Sono i cosiddetti «effetti collaterali», considerati dagli esperti bellici una conseguenza inevitabile dei conflitti moderni.
A un paio di chilometri dalle zone turistiche di Vientiane c'è il Centro Riabilitazione Nazionale, che si occupa proprio delle persone rimaste vittime degli ordigni. Ci arrivo con un Tuk Tuk, che in lingua Lao chiamano Samlo. Questa struttura, una delle più all'avanguardia del mondo, è gestita dal Cooperative orthotic and prosthetic enterprise (Cope), un'organizzazione no profit cofinanziata dal governo, che ospita un centro di ricerca interamente dedicato alle protesi. All'ingresso c'è una statua realizzata con oltre 500 chilogrammi di materiale inesploso che, mi spiegano, serve per «rendere omaggio alla vittime». Poco più avanti, un grande spiazzo. Alcune persone stazionano in mezzo. Sulla destra c'è il Visitor Centre, una specie di museo che racconta questo enorme dramma. All'interno, attraverso le commoventi testimonianze di chi è rimasto vittima degli Uxo, è allestita la triste ricostruzione della storia del Paese.
All'ingresso delle piccole palle rotonde vengono giù dal soffitto. Sembrano delle palline da tennis, ma sono proprio loro principale causa delle vittime che ancora oggi si verificano in diverse parti del Laos, in particolare quelle vicino al confine con il Vietnam. «Le zone più colpite sono quelle più adatte alla coltivazione», mi spiega il giovane volontario del Cope Thanoi con un perfetto inglese, mentre mi accompagna all'interno. «Queste zone - continua - sono rese inutilizzabili dalla presenza di decine di milioni di ordigni». Poi si ferma un attimo, mi porta davanti a un pannello dove c'è scritto che dalla fine della guerra sono state più di ventimila le persone rimaste uccise o ferite.
La bonifica dei terreni procede tuttora a un ritmo di quaranta chilometri quadrati l'anno. «Per ripulire un ettaro di terreno occorrono circa dieci giorni, molti di più se la superficie è montuosa o coperta dalla fitta vegetazione», precisa Thanoi. È un lavoro complicato e viene condotto manualmente con l'ausilio dei moderni metal detector da personale specializzato. Se una bomba inesplosa viene trovata, viene isolata e se le condizioni lo permettono, viene fatta saltare.
Oltre a alle due grandi organizzazioni Uxo Lao (Unexploded Ordnance Laos) e Mag (Mine Advisory Group), dal 2009, un gruppo di volontari composto da tremila cittadini si è prodigato per localizzare gli ordigni nascosti, prevalentemente nelle province di Luang Prabang - l'antica capitale del Laos - e Xiengkouang, nella parte settentrionale del Paese e la zona centro-meridionale.
«Attualmente si verificano ancora circa cento incidenti ogni anno. Le vittime maggiori sono i contadini, che si addentrano nelle zone rurali per raccogliere cibo e legname», mi spiega il volontario del Cope. «Queste persone rimangono con gravi disabilità motorie e le famiglie, molto spesso, non riescono a supportare i costi per le medicazioni». Proprio per questo il Cope, presente nel Paese dal 1963, con i sui cinque centri lavora in stretto contatto con i centri di riabilitazione del ministero della Salute del Laos e fornisce servizi gratuiti, che vanno sia dalla formazione di tecnici protesici e fisioterapisti, sia ai servizi riabilitativi. Grazie al loro lavoro, molte vittime hanno ricevuto gratuitamente protesi. Non solo, con la costante attività di recupero, hanno permesso loro di riacquistare non solo la mobilità, ma anche la dignità.
Nel 2008 la Convention on Cluster Munitions (Ccm), ha messo al bando l'uso e la produzione delle bombe a grappolo. Inoltre obbliga gli Stati aderenti a bonificare le aree colpite, assistere le vittime, attraverso cure mediche, riabilitative, psicologiche e sussidi.
Hanno firmato la convenzione a Oslo 94 Paesi, tra questi non hanno aderito gli Stati Uniti e la Russia. «È impossibile tornare indietro, ma possiamo fare tanto per il futuro delle prossime generazioni», mi dice Thanoi prima di salutarmi. Quel futuro che, fino ad ora, è stato rubato dai souvenir made in Usa.
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