Pellicani, pensatore libero e "eretico"

Teorizzò la Sinistra riformista con la svolta da Marx a Proudhon

Pellicani, pensatore libero e "eretico"

Il libro è lassù, consumato, sugli scaffali in alto della libreria. Non lo leggo da molti anni. La realtà è che mi sta sulla pelle e sugli occhi e influenza il modo con cui guardo il mondo. Il titolo è La genesi del capitalismo. L'autore è Luciano Pellicani, docente per anni di Sociologia alla facoltà di Scienze politiche della Luiss. È il mio professore, quello con cui mi sono laureato. È morto ieri, a 81 anni. Li aveva compiuti venerdì.

Non è mai stato davvero organico a un partito, anche perché aveva un brutto carattere. Una parte di lui sognava l'anarchia. Era pugliese. Il padre Michele era un dirigente del Pci, che abbandonò nel 1956 dopo la repressione della rivolta ungherese. Il figlio su quella scelta ci ha costruito di fatto i suoi studi. Quale è il lato oscure delle rivoluzioni? Perché i «buoni» si mostrano poi come tiranni? Perché il comunismo è una promessa tradita? È ostinato e va controcorrente, e da Sinistra svela la trappola del marxismo-leninismo. Lo fa in anni in cui non era affatto scontato. È a più riprese il direttore della rivista Mondoperaio. Negli anni '80 è nel mirino delle Brigate Rosse. Si salva con un colpo di fortuna. È a lui che Craxi si ispira quando nel 1978 pubblica su L'Espresso il breve saggio con cui rivendica il ruolo della Sinistra riformista. È la svolta con cui si rinnega Marx e si riscopre il socialismo di Proudhon.

Pellicani mi ha fatto conoscere Ortega y Gasset e i suoi studi sulla ribellione delle masse. Mi ha portato tra i mercanti italiani del '300 e alle origini della società aperta. Mi ha insegnato quanto sia fragile la libertà e quanto costa sceglierla come principio di vita. Mi ha fatto innamorare di Don Chisciotte. Mi ha insegnato a guardare nelle utopie degli intellettuali déraciné le strade che portano all'inferno. Mi ha detto che quelli che rubano in nome della libertà sono ladri che non hanno neppure l'alibi del bisogno. Mi ha fatto leggere I Demoni di Dostoevskij.

Appena laureato mi chiese cosa volevo fare. Risposi: il giornalista. «Allora ti presento il direttore de L'Avanti». La mia risposta fu stupida e presuntuosa: «Professore, mai con un giornale di partito». Era il 1991.

Quando ci penso, a posteriori, mi viene da ridere. L'ultima volta che ci siamo visti, qualche anno fa, mi ha guardato a lungo e poi ha detto: sei invecchiato e mi rendo conto di quanto troppo vecchio sono io. Un'infezione se l'è portato via. Addio prof.

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