Massimo Moratti c'è rimasto male. Non per la "stangata": tutto sommato sapeva che sarebbe finita male, non poteva non sapere dopo le relazioni ricevute da Branca e Oriali sulla turbolenta notte di sabato scorso. C'è rimasto male non per il monte-premi di squalifiche ma per i tempi rispettati dalla giustizia sportiva nel rendere pubblica la sentenza di Tosel sui fatti e misfatti di Inter-Sampdoria. Nel corso della telefonata ad Abete, domenica mattina, il presidente dell'Inter aveva chiesto una piccola cortesia: far slittare al giovedì i provvedimenti del giudice sportivo con la scusa di richiedere un supplemento d'indagine.
In effetti non si trattava di aggirare il regolamento e nemmeno di ottenere degli sconti di pena. No, si trattava solo di piegare l'organizzazione al proprio interesse (affrontare il Chelsea in un clima meno infuocato) esercitando pressioni private sul giudice sportivo affinchè modificasse il calendario del suo lavoro e rinviasse a dopo Champions l'annuncio della raffica di squalifiche. Ai bei tempi andati, qui parliamo di "calciopoli" cominciò tutto così: con una telefonata al segretario del Coni Raffaele Pagnozzi per avere una dilazione sulle procedure del doping, con un'altra ai componenti della giustizia sportiva per ottenere clemenza nei confronti di un figlio-procuratore, oppure con una telefonata al designatore arbitrale per mandare l'arbitro x a dirigere un'amichevole piuttosto che il trofeo Berlusconi.
Moratti, lunedì sera, al telefono con un paio di cronisti s'è lasciato andare a una confidenza. Ha ironizzato sul presidente Abete sostenendo in pratica di aver ricevuto assicurazioni circa l'intervento che non c'è stato. Di fatto ha reso necessario, da parte della federcalcio, un giro di telefonate e un chiarimento pubblico con i giornali allarmati da quel retroscena reso di dominio pubblico. «Mai ricevuta una richiesta del genere» la posizione di Abete.
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