Matteo Sacchi
Le battaglie del Risorgimento sono state combattute strada per strada, piazza per piazza. Ma non solo quando si trattò di cacciare, baionette alla mano, le truppe di Francesco Giuseppe o di inscenare molto più fratricidi scontri con le truppe del Regno delle Due Sicilie o con i «briganti». Anche quando fucili a luminello e cannoni erano già tornati nelle armerie, la conquista delle città restava infatti da ultimare: a colpi di targhe, dediche e statue.
Nel cinquantennio seguito alle guerre d'indipendenza la toponomastica, e in alcuni casi anche la topografia, delle città italiane è stata cambiata. Trasformata in propaganda «del nuovo che avanza»: nuovo che in quel caso era incarnato dai valori patrii appena reinventati e dagli eroi italici, freschi di medaglie e di ferite sul campo. Ecco allora tutto un fiorire di Corso Vittorio Emanuele II, Piazza Garibaldi, Largo Cavour, Via Mazzini... Tanto che una stradina linda e nuova si finiva per darla a tutti, persino a Carlo Pisacane.
Eppure dato che c'è strada e strada, piazza e piazza, questa gigantesca operazione pedagogico-pubblicitaria si trasformò in un braccio di ferro politico che solo da pochi anni gli storici hanno iniziato a studiare in maniera intensiva, inserendolo in un quadro più ampio e non limitato solo a saggi locali. Ecco allora che studiosi come Matteo Morandi (nel suo Garibaldi, Virgilio e il Violino edito da Franco Angeli) relativamente a Cremona e Mantova o Barbara Bracco, relativamente a Milano, hanno delineato lo sviluppo dell'«odonomastica» (l'insieme dei nomi delle strade, piazze, e più in generale, di tutte le aree di circolazione di un centro abitato). Ad esempio, a Mantova già dal 1867 il programma pedagogico si incentrò sul terzetto Virgilio, Tazzoli, Garibaldi. Garibaldi era l'eroe risorgimentale nazionale per eccellenza, don Enrico Tazzoli (uno dei martiri di Belfiore) il contributo locale alla causa, Virgilio il richiamo alla tradizione, la radice antica del rinnovamento. Vittorio Emanuele II e Cavour arrivarono a pochi mesi di distanza, ma comunque dopo: a Mantova erano forse più per il Risorgimento «dal basso». Altrove, il dibattito era, invece, su come completare la damnatio memoriae dei precedenti regimi, come quello dei Lorena. A Cremona già dal 1860 si discuteva della necessità «di battezzare con nuova denominazione quella porta che richiama tuttora austriache reminiscenze...». L'unico freno a far diventare Porta Garibaldi la vecchia Porta Margherita d'Austria era che da lì uscivano i «giustiziati a morte» e non sembrava carino attribuire un simile peso all'Eroe dei Due mondi.
E la discussione, come spiega al Giornale lo storico Mario Isnenghi, esperto di Risorgimento e di mito garibaldino (tra gli altri libri segnaliamo il recentissimo Garibaldi fu ferito. Il mito, le favole, Donzelli) spesso partiva da particolari e finiva per sancire il vero status politico degli eroi da piazza, da corso e da vicolo: «A noi la "topografia risorgimentale" arriva tutta assieme ma è nata con una precisa cronologia e gerarchia. Ad esempio, Mazzini fu messo a lungo in lista d'attesa, a volte lo sdoganamento ha richiesto anche mezzo secolo. A Torino per avere un monumento a Mazzini si è dovuto attendere sino alla Prima guerra mondiale. E ci volle tutta una trattativa tra il sindaco e i Repubblicani. Tra le contropartite ci fu il quasi contemporaneo posizionamento di una statua di Don Bosco... E anche come iconografia... Mazzini è sempre ritratto seduto, dolente, un uomo anziano con le gambe coperte, che pensa. Il Re e Garibaldi hanno sempre una spada in mano... dominano, Mazzini a Torino venne messo dove prima c'era un vespasiano».
Secondo Isnenghi, infatti, i veri vincitori per il dominio delle strade furono proprio Garibaldi e Sua Maestà, a danno anche del povero Camillo Benso conte di Cavour: «Il Re rappresentava il Risorgimento di Stato, Garibaldi andava bene per far contenti i rivoluzionari ma si poteva sempre interpretarlo come il Garibaldi dell'"Obbedisco", di Teano... Cavour è stato offuscato dall'ombra del Re. Poche statue, gli è andata un po' meglio con le strade...». Ma in questa «guerra» di popolarità c'è stata anche una seppur perdente forma di resistenza della tradizione popolare: «A Padova c'è piazza Garibaldi, ma in mezzo è rimasta una statua della Madonna quasi a esorcizzare la presenza laica... del resto siamo in Veneto. E le dirò di più: la piazza prima si chiamava piazza dei Noli perché lì si trovavano le carrozze da prendere in affitto, e ci fu chi difese il vecchio nome. Oggi che siamo tutti più attenti alla storia forse ci schiereremmo a maggioranza per il mantenimento dei nomi della tradizione, li proteggeremmo. Ma all'epoca lo fecero solo quelli che amavano poco il nuovo corso...».
E non è nemmeno che la lotta delle targhe stradali si sia chiusa allora, spiega sempre Isnenghi: «Ci sono state altre due grandi ondate di rinnovamento toponomastico, una dopo la Prima guerra mondiale e una con la caduta del fascismo. L'unica strada che è sempre andata bene a tutti è piazza del Popolo, va bene per tutte le stagioni...».
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