Perché si resta folgorati sulla "Via del Romanino"

Da Pisogne a Breno e Bienno: un territorio caratterizzato dalle opere del pittore bresciano

Perché si resta folgorati sulla "Via del Romanino"

La Valle Camonica è un centro di sperimentazione per artisti eccentrici e necessari. Colti e radicali. Per quanto Callisto Piazza era composto, raffaellesco negli affreschi mirabili di Erbanno, di Borno di Breno, Romanino è sulfureo, disordinato, fuori da ogni regola. Nella chiesa di Santa Maria della Neve a Pisogne, gli episodi affrescati mettono in scena un teatro della Passione, con le volte abitate da michelangiolesche rievocazioni di sibille e profeti, e su quelle pareti si anima una sacra rappresentazione popolare, che si svolge nella Settimana Santa e che coinvolge un intero paese. Giovanni Testori battezzò il ciclo di Pisogne «Cappella Sistina dei poveri» e, durante una conversazione pubblica, spiegò in questi termini la sua suggestiva definizione: «Guardate quassù le sibille se non sembrano donne che tornino con le loro gerle dai boschi... Pisogne per forza poetica tiene alla Sistina, ne è come l'alterità, l'altro modo di vivere il Cristianesimo... Qui c'è un modo di viverlo più umile, più da eroismo popolare e montagnaro, più dialettale... Romanino qui fa il controcanto della parola che si fa carne, infatti prende la carne di un popolo, di una valle e ne fa verbo figurativo».

Ed è una benedizione. Non ci si può dire veramente protetti, in questa valle, se non si passeggia sul lago, a Pisogne, avviandosi verso la Chiesa della Madonna della Neve con gli affreschi, clamorosi come un grido al cielo, di Romanino, con quella dolente e umanissima Crocefissione che io vidi la prima volta, bambino, nel 1964, andando a trovare mio zio Bruno, commissario agli esami di maturità a Iseo. Da allora conosco, prima di ogni altro pittore antico, Romanino: la sua furia, il suo disordine, le sue visioni spericolate, senza regola e senza misura; ricordo le sue incomode sibille, arrampicate e appollaiate agli spicchi del soffitto, la sua capricciosa Resurrezione: tutto sgangherato, deformato, anticlassico e travolgente, tra amici e sgherri che assistono allo spettacolare spettacolo. E non finisce a Pisogne, nel 1535.

Nel 2018, in un altro edificio religioso, sono miracolosamente riapparse testimonianze di Romanino fino ad allora sconosciute. Affreschi celati allo sguardo da secoli. Sono stati svelati nel corso dei lavori nella chiesa di San Nicola da Tolentino, all'interno della casa di riposo di Pisogne. Un intervento necessario a garantire la conservazione della struttura, con la chiusura delle infiltrazioni dalla volta, e il consolidamento degli stucchi barocchi sotto i quali sono apparsi gli inediti affreschi del Romanino, nel presbiterio della chiesa: l'ala rosata di un angelo, la testa di una santa con l'acconciatura dei primi decenni del Cinquecento. Poco dopo ritroviamo Romanino a Breno, nella chiesa di Sant'Antonio abate, vicino a Callisto Piazza. Romanino vi giunge nel 1536, e dipinge tre pareti del presbiterio con le storie di Davide.

C'è una evidente continuità tra queste opere e quelle di Pisogne, lo stesso gusto per le deformazioni, gli strappi, per i personaggi grotteschi, quasi caricaturali. Le partiture architettoniche sono travolte dalla potenza delle figure. Il primo registro della parete di fondo e alcune parti della parete a sinistra sono compromessi, e rendono difficoltosa la lettura dei soggetti. Le stesure delle giornate di intonaco sono a campiture molto ampie. Analizzandole, si verifica che Romanino stendeva l'intonaco seguendo i piani del ponteggio, e mostrando deliberatamente di ignorare che, per un buon fresco, le giunte di giornata devono seguire il più possibile i contorni delle figure e delle architetture. La grama superficie dell'intonaco ha la fragilità costitutiva della sabbia del fiume Oglio. Come a Pisogne, anche in Sant'Antonio a Breno, Romanino dipinge sulle tracce di un affresco precedente. Lo si riconosce al di sotto della nobile e solenne pala di Callisto Piazza.

Nel 1541 Romanino arriva a Bienno e, nella chiesa di Santa Maria Annunciata, dipinge nel presbiterio tre maestosi e farraginosi affreschi con le storie della vita di Maria. La parete di fondo è stata stravolta nel Seicento con l'inserimento della pala, mentre l'affollatissimo, e pur composto, Sposalizio della Vergine e la Presentazione al tempio sono sulle due pareti laterali. Lo Sposalizio, se pensiamo ai prototipi di Perugino e Raffaello, è singolarmente affollato di pretendenti delusi e inferociti e di dame di compagnia distratte e curiose d'altro, mentre alcuni forzatamente presenti sono affacciati tra gli intercolumni del Tempio. In alto assistono, convinti, personaggi forse inutili, disposti sul loggione, pur di consentire all'impertinente Romanino di sforare su una volta con evidenti tracce di affreschi preesistenti, di cui restano simboli degli evangelisti e padri della chiesa. Andrea Dusio scrive: «Per la scena della Presentazione al tempio, Romanino recupera un'impaginazione a lui cara, quella della scalinata, anche perché la presenza nel muro di una finestra lo costringe a uno svolgimento in verticale dell'episodio. Maria sembra inciampare nei gradini. Un tono favolistico, indubbiamente rasserenato, è anche nello Sposalizio della Vergine, che somiglia a una festa paesana. La poetica del Romanino ne esce come attenuata, accordata a un tono di compassata nostalgia, acceso occasionalmente da particolari patetici, come i sorrisi incrinati e le espressioni pensierose dei giovani che partecipano al corteo nuziale».

Rispetto a Pisogne e Breno, constatiamo comunque un contenimento delle forme e una struttura architettonica più lineare e rigorosa. Un Romanino trattenuto, tra rabbia e devozione. Scrive Silvia Conti, appassionata studiosa del Romanino camuno: «Dal punto di vista della tecnica si ritrovano come sempre delle ampie stesure di intonaco che con noncuranza seguono le gibbosità dell'irregolare muro in pietra. Una particolare emozione si prova guardando da vicino e a luce radente questi intonaci, perché oltre ad avere i segni del taglio di cazzuole e arnesi vari, come a Pisogne e Breno, presentano molte impronte lasciate con le mani o con le dita sull'intonaco fresco. Gli intonaci, composti come gli altri dell'area camuna, presentano correzioni con granulosità diverse, le giunte di giornata sono molto visibili, c'è qualche piccolissima traccia di pasticca cerosa. In alcune figure si trova una conservazione ottimale anche degli ultimi tocchi di pennello, forse perché l'artista ha in quest'opera ripreso quel modo descrittivo, quasi grafico, seguito a Tavernola, quei dettagli di finitura eseguiti con colore nero o rossiccio che disegnano trame di abiti, colletti, pellicce e ornamenti. Nello Sposalizio della Vergine il manto della Madonna ha perso lo strato finale di malachite, della quale si possono vedere i frammenti rimasti. Nella stessa parete, la giovinetta che regge i fiori conserva degli splendidi esempi di finiture eseguite con bianco di calce molto corposo. Le perline che decorano i capelli hanno uno spessore di alcuni millimetri e questo è un particolare inconsueto per un pittore come Romanino, che ci aveva abituati a colori tanto liquidi da lasciare spesso intravvedere l'intonaco. Altri particolari di finiture ben conservate sono, nella stessa parete, la figura seduta in basso a sinistra, così come, nella parete di fondo, l'abito giallo damascato e contornato da pelliccia della figura a destra nella pala. È difficile stabilire se fosse d'uso consueto per Romanino dettagliare così minutamente le figure, e se Bienno rappresenti un caso di conservazione ottimale o rappresenti piuttosto la manifestazione di quella nuova forma di espressività cui Romanino si sarebbe rivolto a partire dal 1540. Dal punto di vista dei colori utilizzati, anche a Bienno c'è una netta prevalenza di terre o comunque di colori non particolarmente preziosi ad eccezione della malachite.

Questa rappresenta una costante nelle quattro opere del percorso romaniniano, accomunate su un altro piano dal fatto, rilevato dalle polizze d'estimo, che a Breno e Bienno, come a Pisogne, Romanino continuerà a vantare crediti per il lavoro svolto sino alla morte».

La Via del Romanino, in Valle Camonica, finisce a Bienno, ma prosegue nel suo cuore che non potrà più lasciare questi amati luoghi, con la gente che ha visto e sentito.

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