Ghali va a La Mecca e l'Italia si inginocchia

Nel pieno diritto di Ghali di andare a La Mecca come fedele musulmano e di condividere la sua esperienza, ci si chiede quando è successo che gli italiani sono arrivati a esaltare uno dei pilastri dell'islam

Ghali va a La Mecca e l'Italia si inginocchia
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Il rapper Ghali è andato a La Mecca. In un altro Paese questa non sarebbe nemmeno stata una notizia: è musulmano ed è andato a fare un pellegrinaggio nella più sacra dell'Islam, dove sarebbe nato il profeta Maometto. Da noi, invece, è diventata notizia di prima pagina, discussa sui social e in ogni altro luogo in cui si aprono conversazioni di questo tipo. È stato addirittura confezionato un servizio di oltre tre minuti su un telegiornale nazionale. Il tutto con toni tra la divinazione e la santificazione. La domanda, quanto mai retorica, da porsi è se viene dedicata la stessa attenzione in Italia a un personaggio noto che si reca in pellegrinaggio a Gerusalemme o che si reca in visita dal Papa in Vaticano. La risposta è ovvia ed è no. Anzi, spesso questi personaggi vengono derisi sui social, mentre i media, giustamente, li ignorano.

E allora perché a Ghali è stato riservato un trattamento diverso? La domanda che ci si pone è questa e il problema non è certo il rapper che ha condiviso sui social la sua esperienza da credente musulmano, anche se la posa esposta nella foto ha senz'altro agevolato. Il problema che sta emergendo con forza è la volontà di una parte di occidente, e in questo caso di Italia, di considerare il mondo musulmano e tutto ciò che vi gravita attorno come un sistema superiore. Ghali è ovviamente libero di andare a La Mecca e di fotografarci, anche di farci il sermone il giorno in cui è iniziato il Ramadan, solo perché gli artisti italiani, a suo dire, così come quelli francesi e inglesi, non si sono esposti e sono rimasti "in silenzio di fronte al genocidio in Palestina".

Certo, verrebbe da chiedersi perché un artista o qualunque altra persona che la pensa diversamente da lui sulla questione mediorientale debba necessariamente allinearsi al suo pensiero. Ma, d'altra parte, ci si potrebbe anche chiedere "Ghali chi?" e ignorare completamente le sue "lezioni", che lui è libero di impartire dai suoi profili social. Quel che non si spiega è come siamo arrivati a considerare oracolo un rapper di origine tunisina. Ma attenzione, se fosse stato di origine rozzanese sarebbe stato identico il ragionamento. Ci si chiede come siamo arrivati a venerarne il verbo e a dedicare fiumi di parole e anche un servizio al telegiornale per il suo viaggio a La Mecca, trasformandolo in qualcosa di eccezionale e di sbalorditivo. Eppure è successo.

E allora sarebbe forse da riflettere sul modo in cui in Italia e in occidente stiamo contribuendo a una propaganda islamista, di cui Ghali non è parte ma diventa strumento. E al prossimo vip che va in Vaticano da Papa Francesco, facciamoci attenzione: quanti ne parleranno?

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