Il rapporto Draghi, un caso di Keynesismo di tipo efficientista

Mario Draghi correttamente spiega che la necessità della crescita, altro che decrescita felice, con il passare del tempo è sempre più importante

Il rapporto Draghi, un caso di Keynesismo di tipo efficientista
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Chi scrive questa rubrica ha già partecipato a una serie di discussioni pubbliche in cui si è preso come punto di riferimento dell'analisi il già molto celebre rapporto Draghi, pubblicato dalla Commissione Europea lo scorso 9 settembre. Già dalle prime righe l'analisi dell'ex presidente del consiglio italiano mette in evidenza come la situazione europea sotto il profilo economico sia davvero grave. Il punto di riferimento è correttamente individuato rispetto all'aumento del Pil reale pro capite degli Stati Uniti, che negli ultimi 25 anni è raddoppiato rispetto a quello europeo. Insomma, loro si sono mossi e noi siamo rimasti non solo fermi, ma verrebbe la voglia di dire che dal punto di vista economico siamo arretrati. Mario Draghi correttamente spiega che la necessità della crescita, altro che decrescita felice, con il passare del tempo è sempre più importante. Nel rapporto si mette in evidenza anche come dal 2040 in poi l'Europa vedrà una diminuzione di due milioni di lavoratori l'anno e dunque avremo la necessità di essere sempre più produttivi, avendo meno risorse impiegate.

Se vogliamo semplificare la pars destruens del rapporto non fa altro che mettere nero su bianco questioni che più o meno tutte le persone di buon senso condividono. Dal punto di vista di questa rubrichetta Liberale quello che zoppica, se così possiamo dire, sono le soluzioni che il grand commis di Stato propone. La ricetta la potremmo definire keynesiana efficientista. E soprattutto ben poco Liberale. La proposta di destinare almeno il 5 per cento del Pil (di cui una buona parte pubblica) per risollevare le sorti dell'Europa ha un grande senso soltanto per chi ritiene che le risorse rastrellate dai cittadini e impiegate da illuminati burocrati siano sufficienti per chiudere i nostri gap tecnologici e produttivi.

Ha perfettamente ragione il rapporto quando sostiene che la iper-regolamentazione comunitaria è un problema, ma qualcuno ci sa spiegare con quali regole dovrebbero essere impiegati i mostruosi finanziamenti pubblici che prevede il piano stesso? Il modello Pnrr è forse una Best Practice, secondo l'ex presidente della Banca centrale europea? Davvero non si poteva avere il coraggio di dire che la de-carbonizzazione è semplicemente all'origine dei mali dirigisti di una commissione europea che si pone degli obiettivi e che ha indotto le imprese europee a comportamenti antieconomici? Un'ottima analisi delle cause che rendono il nostro

continente debole nei confronti delle sfide europee; una pessima ricetta dirigista che alla fine prevede semplicemente e magicamente di far funzionare meglio ciò che fino a oggi ha funzionato malissimo: la pianificazione centrale.

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