Le tracce di "arsenico" e la strana morte dell’imperatore cinese

L’imperatore della dinastia Qing Guangxu non sarebbe morto per cause naturali, ma a seguito di una congiura di Palazzo

Imperatore Guangxu
Imperatore Guangxu

La breve vita del giovane imperatore Guangxu (1871-1908), discendente della celebre dinastia Manciù-Qing (o Ch’ing), è indissolubilmente legata a quella della potente imperatrice Cixi (1835-1908). Forse persino le loro morti, avvenute a circa ventiquattro ore di distanza l’una dall’altra, potrebbero essere collegate. Infatti Guangxu, sostengono nuovi studi, sarebbe deceduto per avvelenamento e a ucciderlo sarebbe stata proprio Cixi.

Da concubina a imperatrice

Cixi nacque a Xipo, nella provincia dello Shanxi, da una famiglia della piccola nobiltà di origine mancese. I genitori le imposero il nome di Yehonala. All’età di quattro anni, dopo la morte della madre, venne venduta dal padre a un agricoltore di Shangqiin, il quale la rivendette, otto anni dopo, al prefetto della città di Luì’an. Quest’ultimo la adottò e le impose il nome di Yulan.

La ragazza, dotata di grande bellezza e fascino, venne notata dai funzionari imperiali, alla ricerca di nuove concubine per il Palazzo. Nel 1851 la futura Cixi venne invitata a partecipare a una vera e propria selezione, insieme ad altre decine di giovani, per entrare nell’harem dell’imperatore Xianfeng. Venne scelta e si trasferì nella Città Proibita tra il 1851 e il 1852.

Le concubine imperiali vivevano osservando rigide regole gerarchiche. Quando Cixi arrivò tra loro non era che una delle donne di rango più basso. Tra il 1853 e il 1855 intraprese una straordinaria ascesa. La vera svolta, però, avvenne nel 1856, quando la giovane diede alla luce Tongzhi, unico figlio maschio sopravvissuto dell’imperatore.

Nell’agosto 1861, dopo la Seconda Guerra dell’Oppio (1856-1860), Xianfeng morì, lasciando una corte divisa fra conservatori e progressisti favorevoli a un’apertura verso l’Occidente (Cixi apparteneva a quest’ultimo gruppo, ma la sua idea di occidentalizzazione della Cina era piuttosto moderata). Il piccolo Tongzhi non aveva ancora l’età giusta per regnare così il potere venne affidato, come ricorda Storica National Geographic, a un consiglio di reggenza estremamente tradizionalista.

Contrarie alla linea politica dei reggenti la futura sovrana e Zhen, l’imperatrice vedova, avrebbero ordito un vero e proprio colpo di Stato: dapprima convinsero i membri del consiglio a usare i due sigilli imperiali per firmare i nuovi atti del governo. Questi sigilli appartenevano a Tongzhi, che naturalmente non poteva usarli, data la giovane età e, dettaglio importantissimo, erano custoditi da sua madre e da Zhen.

In un secondo momento le due alleate chiesero all’assemblea di poter prendere parte alle decisioni politiche. I reggenti, scandalizzati da quello che per loro era solo un atto di tracotanza (rammentiamo che, all’epoca, le donne in Cina non avevano diritti) si misero a urlare. Tongzhi, che era presente, si spaventò. Era proprio ciò che volevano Cixi e Zhen: sfruttando a loro vantaggio la reazione del nuovo imperatore, accusarono il consiglio di tradimento e lo destituirono, iniziando a usare i sigilli già in loro possesso. Da quel momento Cixi influenzò le sorti della Cina per quasi cinquant’anni come reggente e come imperatrice regnante.

Tongzhi e Guangxu

Cixi e Zhen fecero un passo indietro nel 1873, quando Tongzhi raggiunse l’età per regnare. Ciò, però, non significa che da quel momento le due smisero di colpo di interessarsi alle questioni riguardanti la Cina. Al contrario, avrebbero continuato ad avere una notevole influenza, seppur indiretta, sul destino del popolo e a essere sempre informate di tutto ciò che accadeva grazie, anche, a una ben collaudata rete di spie. Tongzhi, invece, non sarebbe mai stato particolarmente portato per la politica. Non ebbe neppure molto tempo per cercare di imparare a regnare.

Nel 1875 morì di vaiolo senza lasciare eredi. Nonostante i consigli e gli avvertimenti della fidata Zhen che, però, morì nel 1881, Cixi scelse come nuovo imperatore Guangxu (1871-1908), di soli quattro anni, figlio di sua sorella Rong e di Yixuan, conosciuto come il principe Chun. Lo adottò, ne divenne reggente e, di conseguenza, ottenne il titolo di “imperatrice madre”.

La decisione era un’evidente infrazione alle regole di successione al trono, che imponevano di scegliere il nuovo sovrano tra i maschi della stessa generazione del predecessore, o della generazione successiva. Il principe Chun, infatti, era il fratello dell’imperatore Xianfeng (ed erano figli dell’imperatore Daoguang, che regnò dal 1820 al 1850). Per questo Guangxu, nonostante l’età e la parentela con Tonghzi, era considerato membro della generazione precedente di regnanti, dunque non adatto al ruolo.

In ogni caso l’imperatrice non avrebbe fatto una scelta lungimirante (almeno se guardiamo i fatti dal suo punto di vista): quando il nuovo sovrano raggiunse l’età giusta per regnare, nel 1889, fu subito chiaro a tutti che non avrebbe diviso il potere con Cixi, né tantomeno avrebbe accettato passivamente le sue intromissioni nelle decisioni di Stato. Alla base di questa ostilità c’erano due mentalità in netto contrasto: quella dell’imperatrice, come abbiamo visto più aperta al progresso e all’Occidente, seppur con alcune riserve e molta prudenza e quella intrisa di granitico confucianesimo di Guangxu.

Importante precisazione: questi due modi di pensare molto diversi non devono indurci nell’errore di attaccare delle etichette inamovibili all’operato di Cixi e di Guanxu. Ovvero il fatto che quest’ultimo fosse più tradizionalista non implica che fosse anche completamente chiuso all’idea di modernizzazione della Cina, come vedremo. Allo stesso modo l’imperatrice aveva un atteggiamento meno conservatore del figlio adottivo, ma ciò non significa affatto che non custodisse gelosamente l’identità del suo Paese (fatto evidente durante la fallita Rivolta dei Boxer, avvenuta tra il 1899 e il 1901, quando l’imperatrice appoggiò la ribellione popolare contro la presenza e l’influenza straniera in Cina).

Quella di Cixi e Guangxu era una politica dalle tante sfaccettature (alcune controverse), che risentiva anche del momento storico, dei loro interessi e dei rapporti con le potenze straniere. L’immagine di Cixi, tra l’altro, ha risentito pesantemente del giudizio di chi non l’amava affatto, e non le perdonava di essere una donna e, per di più, ambiziosa e capace da un punto di vista politico. In ogni caso sia Guanxu sia la madre adottiva avevano due forti personalità che entrarono in conflitto fin da subito. Gli attriti continuarono, diventando sempre più aspri, fino a raggiungere il punto di rottura.

Riforme e congiure

Nel 1898 Guangxu, come ha documentato l’enciclopedia Britannica, diede avvio alla “Riforma dei Cento Giorni”. Questo grande progetto di rinnovamento del Paese, però, non era ispirato solo alle società occidentali, ma anche e forse soprattutto al Giappone. Ad aiutare l’imperatore in questa impresa fu il filosofo Kang Youwei (1858-1927). Quest’ultimo aveva studiato una sorta di agenda di riforme piuttosto serrata, con idee molto strutturate, ma forse troppo radicali. In linea teorica il progetto poteva essere valido, ma era stato pianificato senza valutare la sua applicazione concreta alla realtà cinese.

L’imperatrice non sarebbe stata contraria al principio di rendere la Cina più competitiva (del resto negli ultimi anni della sua vita fece diverse riforme: per esempio nel 1902 abolì la tradizione della fasciatura dei piedi delle bambine e nel 1906 favorì la nascita di una monarchia costituzionale), ma temeva che tutte queste profonde trasformazioni in un tempo così breve potessero indebolire la nazione, rendendola una facile preda per il Giappone. Alla popolazione non era stato dato un margine ampio per recepirle, in più, secondo l’imperatrice, era necessario dare una solida base burocratica alla modernizzazione.

Non solo. Come ha riportato Storica National Geographic, sembra che Kang Youwei e Guangxu avessero pianificato l’assassinio di Cixi. Così la sovrana, contraria alla politica del figlio adottivo e temendo per la sua vita preparò un colpo di Stato. Il 21 settembre 1898 fece arrestare Guangxu, condannare a morte Kang Youwei (il quale trovò asilo in Giappone) e assunse di nuovo il titolo di reggente.

In questo frangente, forse, Cixi commise due errori fatali: non privò l’imperatore del suo titolo e non lo accusò pubblicamente di tentato omicidio, probabilmente per evitare di macchiare l’onore dei Qing. Tale “accortezza” (che non era una forma di gentilezza, né di generosità, ma mirava a preservare il potere della dinastia) si rivelò un boomerang: all’estero e anche in patria l’imperatrice si guadagnò la reputazione di sanguinaria e ottusa, mentre Guangxu e Youwei divennero due eroi popolari che lottavano per aprire la Cina al mondo intero.

La fine di Guangxu e Cixi

Il 14 novembre 1908 Guangxu, ancora confinato nella Città Proibita, morì. Aveva 37 anni. Il giorno successivo, esattamente 22 ore dopo, toccò a Cixi. I due decessi ravvicinati diedero adito a numerose teorie di complotto. Stando alla più famosa, sebbene mai dimostrata, l’imperatrice avrebbe fatto avvelenare il figlio adottivo.

Il movente del presunto omicidio non è chiaro: forse, è l’ipotesi più attendibile, Cixi avrebbe voluto scongiurare una nuova presa di potere da parte di Guangxu dopo la sua morte. “Cixi temeva che Guangxu potesse riconquistare il trono e continuare il piano di riforme dopo la sua morte”, ha dichiarato lo storico Dai Yi, alla Xinhua News Agency (conosciuta anche come l’Agenzia Nuova Cina), citata dal New York Times.

Ad avvalorare la tesi dell’avvelenamento ci fu un’importante scoperta, annunciata proprio dall’agenzia stampa cinese e riportata dal quotidiano americano il 4 ottobre 2008: un team formato da esperti forensi della polizia di Pechino, con la collaborazione del China Institute of Atomic Energy e la China Central Television (che voleva trarre dalla storia di Guangxu un documentario) aveva rilevato pesanti tracce di arsenico su alcune ciocche di capelli dell’imperatore.

Stando ai risultati dello studio, iniziato nel 2003, la concentrazione di veleno era “2000 volte più alta di quella presente nelle persone comuni”, come ha scritto il New York Times. Le ciocche appartenenti a Guangxu erano state confrontati con quelle di sua moglie e di un ufficiale Qing: l’arsenico riscontrato nei capelli dell’imperatrice era di 261 volte più basso rispetto a quello dell’imperatore, quello dell’ufficiale 132 volte inferiore.

Inoltre erano stati trovati quantitativi di veleno nello stomaco e sui vestiti di Guangxu. Ciò, però, non dimostra che sia stata Cixi a ucciderlo. Certo, gli indizi contro di lei sono rilevanti, il movente attendibile, ma non c’è una vera prova. La morte dell’imperatore rimane un mistero.

Jung Chang, autrice della biografia “L’imperatrice Cixi” (Longanesi, 2015), ha espresso sul Guardian un parere complessivo sul carattere contradditorio, sul concetto di salvaguardia del potere (e della propria vita) e sulla linea politica dell’imperatrice.

Un giudizio che non assolve, non giustifica, ma spiega benissimo la mentalità dei sovrani (non solo cinesi) dell’epoca (e per la verità può essere applicato a buona parte dei regnanti in quasi tutti i periodi storici): “In circa quattro decadi di potere assoluto i suoi assassinii politici, giusti o ingiusti che fossero…non furono più di qualche dozzina, molti dei quali in risposta a complotti per ucciderla”.

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