La vera storia di Vlad l'Impalatore, il principe "vampiro" di Valacchia

La storia del voivoda Vlad III è una delle più crudeli e macabre mai giunte fino a noi, fonte d’ispirazione per creazione del vampiro più famoso e affascinante di tutti i tempi

Di Anonimo, wikicommons
Di Anonimo, wikicommons

Il legame tra il voivoda Vlad III Țepeș (ovvero “l’Impalatore”, 1431-1477) e il personaggio letterario Dracula è ormai inscindibile grazie allo scrittore irlandese Bram Stoker (1847-1912). L’autore è riuscito a dare forma concreta a una antica superstizione del centro Europa, rinnovando la figura del vampiro e superando i lavori precedenti sull’argomento, ovvero “Il Vampiro” (1819) di John William Polidori e Carmilla di LeFanu (1872). Tuttavia la vera storia dell’uomo che Stoker nascose tra le pagine del suo libro non è meno sinistra e cruda di quella narrata nel romanzo. In fondo Vlad III e Dracula si somigliano molto, perché sono due riflessi di puro male.

Ostaggi alla corte ottomana

Vlad III nacque, forse, a Sighișoara. Non vi è alcuna certezza in merito, così come nulla sappiamo su sua madre. Fu voivoda (principe) di Valacchia per tre volte, nel 1448, dal 1456 al 1462 e nel 1476, ovvero circa otto anni in tutto. Durante questo breve periodo di tempo, però, il principe sarebbe riuscito, secondo gli storici, a uccidere circa 100mila persone, molte delle quali tramite impalamento (da qui il triste soprannome di “Impalatore”). Il voivoda visse in un’epoca tormentata: l’impero ottomano, che si stava espandendo nella parte meridionale dell’Europa, trovava dei fieri oppositori nell’Ungheria e nei principati di Moldavia, Valacchia e Transilvania (quest’ultima all’epoca faceva parte del Regno d’Ungheria).

La situazione politica era di guerra e di violenza quasi costanti. In un ambiente simile i primi pensieri, per nobili e governanti, erano la sopravvivenza e la conservazione del potere a qualunque costo. Vlad III si ritrovò, suo malgrado, al centro di queste vicende complesse fin da bambino: nel 1444 suo padre, Vlad II stipulò un accordo con l’impero ottomano e, in garanzia, gli consegnò due dei suoi figli, ovvero Vlad, di 13 anni e il fratello Radu. Immaginiamo la condizione di paura e di incertezza in cui dovevano sopravvivere questi ragazzini, veri e propri ostaggi dei turchi.

Con questa alleanza, inevitabilmente, il padre del futuro “Impalatore” si inimicò il reggente d’Ungheria, Jànos Hunyadi. Nel 1447 questi pianificò una rappresaglia durante la quale uccise Vlad II e l’altro figlio, Mircea II. Il sultano Murad II sconfisse Hunyadi in Kosovo e ciò consentì a Vlad III, legittimo erede al trono secondo gli ottomani, di prendersi la Valacchia. Durò poco. Nel 1448 Hunyadi lo spodestò. Il voivoda cercò per anni di stringere accordi che gli consentissero di riprendere il potere. L’occasione arrivò nel 1453, quando Maometto II conquistò Costantinopoli.

Janos Hunyadi aveva bisogno di alleanze forti, anche perché la Valacchia si stava avvicinando troppo all’orbita ottomana. Così il reggente d’Ungheria chiese a Vlad III di combattere al suo fianco, offrendogli di riprendersi il potere che gli spettava di diritto. Il principe accettò (dimenticando l’odio e il rancore nei confronti dell’uomo che aveva ucciso suo padre e suo fratello) e nel 1456 tornò sul trono di Valacchia. Da quel momento iniziò la fase più lunga del regno del voivoda, ma anche la più sanguinosa, che lo consegnò alla Storia con il soprannome di “Impalatore”.

Infinita crudeltà

Nel 1460 Vlad III smise di pagare il tributo ai turchi, rendendo la guerra inevitabile e brutale. Durante la campagna del 1462 arrivò in Bulgaria, allora parte dell’Impero Ottomano e lo saccheggiò. Poi inviò al re d’Ungheria, Mattia Corvino, un sacco piano di orecchie, nasi e teste tagliate, accompagnato da un biglietto, citato da Storica National Geographic, che diceva: “Ho ucciso contadini, donne, vecchi e giovani…abbiamo ucciso 23.884 turchi e bulgari, senza contare quelli che sono stati bruciati vivi nelle loro case…se Dio onnipotente ascolta le preghiere…dei suoi pii servitori, ci concederà la vittoria sugli infedeli, nemici della Croce”.

Per quel che concerne la politica interna, Vlad III adottava gli stessi metodi per ripristinare ciò che secondo lui era l’ordine. Nella mente del voivoda, forse anche traumatizzata dagli anni trascorsi come ostaggio alla corte ottomana, la paura serviva a ottenere rispetto, obbedienza e sottomissione. Di aneddoti sulla sua furia ce ne sono tanti (non è escluso che alcuni siano stati inventati dai suoi nemici, in particolare ci sono molti dubbi sull’attendibilità delle antiche fonti tedesche). Per esempio pare che Vlad III avesse deciso di lasciare fuori dal suo castello di Tirgoviste una coppa d’oro piena d’acqua, affinché i viaggiatori potessero dissetarsi. Ebbene nessuno avrebbe mai osato neanche pensare di rubarla.

Secondo un’altra storia agghiacciante storia il voivoda avrebbe fatto radere al suolo un intero bosco per impalare più di 20mila prigionieri. Perfino Maometto II, dopo la sua visita al principe nel 1461, sarebbe tornato al suo Palazzo terrorizzato da tutte queste atrocità. Un altro aneddoto narra che alcuni ambasciatori stranieri (forse turchi, ci sono varie versioni della storia) si sarebbero rifiutati di togliere il copricapo al cospetto di Vlad. Quest’ultimo, per punizione, avrebbe fatto inchiodare i cappelli sulla testa dei malcapitati. Tale brutalità fa inorridire ma purtroppo, all’epoca, era la regola e non certo l’eccezione. Nel 1462 Vlad III venne sconfitto dagli Ottomani. Cercò l’aiuto di Mattia Corvino, invano. Il Re, anzi, lo fece imprigionare per 13 anni con l’accusa di tradimento, sostenendo di non aver mai voluto un conflitto su larga scala con i turchi.

La morte e la leggenda della sepoltura

Il principe di Valacchia tornò libero e al suo trono nel 1476. L’ultima fase di potere durò pochissimo: l’anno successivo cadde in un’imboscata turca e morì. La sua testa fu inviata a Costantinopoli, il suo corpo sepolto, sembra, nel monastero del lago Snagov. L’incertezza sul luogo di nascita appare speculare, quasi per uno scherzo del destino, a quella relativa al luogo di sepoltura. Nel 2014 il quotidiano “Il Mattino” raccontò che la presunta tomba di Vlad III sarebbe, in realtà, a Napoli, nel chiostro di Santa Maria La Nova e sarebbe identificabile con il luogo di sepoltura del nobile Mattia Ferillo.

Questa teoria nacque dalla presenza, nell’attigua Cappella Turbolo, di un’iscrizione non decifrata, forse risalente al XV° secolo. Gli studiosi sarebbero riusciti a isolare solo la parola “Vlad”. Purtroppo, per il momento, è impossibile saperne di più. Non ci sono prove che possano aiutare gli storici a ricostruire l’ipotetico viaggio delle spoglie del principe. Tuttavia lo scorso 27 ottobre è accaduto un fatto singolare: di fronte alla presunta tomba di Vlad III è stato posizionato un suo busto alto un metro e dieci e posto su un basamento rivestito di pietra, come riporta Fanpage. L’installazione dell’opera, realizzata dallo scultore George Dumitru, ha fatto tornare alla ribalta la teoria della sepoltura “napoletana” del voivoda, attirando l’attenzione mediatica e dei turisti.

Da Vlad III a Dracula

Per scrivere la sua opera più celebre, ovvero “Dracula” (1897), Bram Stoker sovrappose il mito oscuro del vampiro alla vita di Vlad III. Fece ricerche sul folklore e la storia, creando un personaggio immortale. Il Dracula letterario e, in generale, il non morto, figlio di leggende e superstizioni, deve nutrirsi del sangue dei vivi per continuare la sua parvenza di vita. Il principe di Valacchia fece scorrere fiumi di sangue. Ciò che garantisce la vita terrena, il sangue appunto, diviene strumento di terrore, morte e di male.

Stoker non scelse il nome del suo protagonista per caso. Il padre di Vlad III, infatti, faceva parte dell’Ordine del Drago, fondato dall’Imperatore Sigismondo di Lussemburgo nel 1387 (ma non tutti gli studiosi concordano con questa data). Per questo si guadagnò l’epiteto di Vlad Dracul, ovvero Vlad il Drago: infatti in romeno “drac” significa “drago” e “ul” è l’articolo determinativo. Quindi Vlad III divenne “Draculea”, che è un patronimico, cioè “figlio del Drago”. Il problema è che in romeno “drac” significa anche “diavolo”. Anzi, non è escluso che il significato originario sia proprio quest’ultimo, mentre quello di “drago” sarebbe posteriore, poiché questa creatura non figurerebbe nei miti e nelle leggende romene. Così “Draculea”, poi ridotto in “Dracula”, può significare anche “figlio del diavolo”. Perfetto per il romanzo di Bram Stoker.

Lacrime di sangue

La figura di Vlad “L’Impalatore” è tornata alla ribalta di recente, non solo per il busto davanti all’ipotetica sepoltura di Napoli, ma anche per nuovi studi sul personaggio storico. L’Università di Catania ha condotto delle ricerche, utilizzando anche la tecnica della spettrometria di massa, su tre lettere del voivoda, una datata 1457, le altre due 1475). I risultati, pubblicati su Analytical Chemistry, rivista dell’American Chemical Society, sono sconcertanti: Vlad III avrebbe sofferto di emolacria, una patologia oculare che porta chi ne soffre a secernere lacrime mescolate a sangue (una possibilità sorprendente e suggestiva: il sangue torna di nuovo “protagonista” nella storia del principe). Vlad avrebbe sofferto anche di problemi respiratori e di un’infiammazione della pelle.

L’assenza di proteine animali sulle lettere ha anche suggerito che il sanguinario guerriero potesse essere addirittura vegetariano. Sono state ritrovate anche tracce di batteri che causano infezioni intestinali e urinarie, addirittura il batterio Yersinia Pestis (della peste), che potrebbero raccontare molto dell’ambiente in cui viveva Vlad III. Serviranno ulteriori indagini per confermare queste ipotesi.

Tuttavia i primi risultati ci hanno ridato l’immagine di un uomo non così forte come ci saremmo aspettati, capace di nascondere abilmente, dietro modi brutali che incutevano timore, le debolezze e la fragilità della natura umana.

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