"Con il piano, da Monk all'hip hop, cerco il punto d'incontro tra i suoni"

Il grande musicista si esibirà a Gradisca d'Isonzo il 23 ottobre: "Tutta l'arte interroga il passato pur essendo contestualizzata nel presente"

"Con il piano, da Monk all'hip hop, cerco il punto d'incontro tra i suoni"
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Jason Moran è nato a Houston, in Texas, nel 1975. È considerato tra i più innovativi pianisti di questi anni. Dotato di tecnica sublime, Moran fa dialogare generi e mondi diversi (Monk e l'hip hop; il jazz e l'elettronica, la musica e l'arte contemporanea). Domani 23 ottobre si esibirà a Gradisca d'Isonzo, in occasione del festival Jazz & Wine of Peace, fra Collio friulano e sloveno. Programma d'eccezione, che si concluderà domenica 27 ottobre con un altro grande americano, il chitarrista Kurt Rosenwinkel. Tutte le info sul sito del Circolo Controtempo di Cormons (Gorizia).

Qual è il suo primo ricordo legato alla musica?

«Uno dei miei ricordi preferiti riguarda la musica che mia madre ascoltava quando accompagnava me e i miei fratelli a scuola. Ascoltava spesso le Variazioni Goldberg di Glenn Gould. Canticchiava, tenendo il volante in una mano e una tazza di tè caldo nell'altra. Multitasking».

Quale musicista, o canzone, l'ha ispirata a suonare il pianoforte?

«Il mio pianista preferito è Thelonious Monk. Per me ha dimostrato sia una penna compositiva che un metodo di improvvisazione unici. Ha davvero fuso il passato, il presente e il futuro nel suo pianoforte. Quando l'ho sentito eseguire Round Midnight sono stato attratto dal pianoforte in un modo nuovo e da allora non sarei mai stato più lo stesso».

Lei è uno sperimentatore. Cosa collega, ad esempio, Monk alla musica hip hop?

«Penso che tutta la grande arte interroghi il passato pur essendo contestualizzata nel presente. Monk diventa un artista raro che disfa le forme, ma ha anche una modalità ritmica che suona simile all'hip-hop che ascoltavo tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90. Il ritmo era pesante, sincero e feroce. La mano sinistra di Monk sembra quella dell'era dei ritmi hip-hop».

Lei si occupa anche del mondo dell'arte contemporanea: cosa ha imparato? Quale aspetto ha provato a tradurre in musica?

«Sono cresciuto in una famiglia che valorizzava il ruolo dell'arte all'interno della casa. Il pianoforte su cui mi esercitavo era circondato da ceramiche e dipinti. Abbastanza straordinario. Quando sono arrivato a New York, ho trascorso molto tempo nei musei e nei jazz club. Una volta avviata la mia carriera, durante le tournée e registrazioni ho visitato molte gallerie e musei in tutto il mondo. Vivendo ad Harlem, quartiere che è la casa di molti artisti, desideravo una comunità di artisti con la stessa mentalità dell'Harlem Renaissance degli anni Venti del secolo scorso. Musicisti, poeti, scultori. Julie Mehretu ed io, per esempio, viviamo entrambi a Harlem e ci vediamo spesso nel quartiere, ci frequentiamo. Attualmente sta esponendo a Palazzo Grassi, a Venezia. Il 24 suonerò proprio in quel contesto. Ciò che amo della collaborazione con gli artisti è la loro capacità di cambiare l'atmosfera di una stanza con un dipinto, un'installazione, un film. Noi musicisti utilizziamo il palco come luogo di trasformazione, anche gli artisti usano lo spazio per apportare un cambiamento, osservare come ogni artista riesce a raggiungere questo obiettivo è fonte di ispirazione».

L'innovazione è fondamentale. Ma esiste una retorica dell'innovazione?

«Sempre. L'innovazione diventa retorica».

In che senso e in che modo la musica può essere politica?

«L'atto di ascoltare è la chiave nei cambiamenti politici. L'ascolto promuove l'empatia».

Nel 2023 è uscita la colonna sonora del videogioco Valiant Hearts, dal sapore più «tradizionale», ed è uscito l'album Refract, con l'utilizzo di un'elettronica più «modernista». Ci sono due anime che convivono in lei?

«Ogni persona che conosco ha molti lati. Per me, ciascuno di questi progetti possiede aspetti di ciò che sono io, ma in collaborazione con altri».

Cosa succede quando passa dalla lettura di una partitura al tocco della tastiera? Cosa cambia nella comprensione della musica?

«La grande idea è la traduzione. In che modo la partitura diventa un'impalcatura per il suono. Devo impegnarmi ad ascoltare la partitura e decidere cosa aggiungere, o sottrarre, per trovare il punto d'incontro. Leggere una partitura significa vedere la spaziatura e suonare una partitura mi aiuta a sentire lo spazio. Per quanto la musica riguardi il suono, riguarda anche gli spazi e i microspazi tra i suoni».

Cosa significa interpretare la canzone di qualcun altro?

«Lo considero come leggere un'opera teatrale, un romanzo o una poesia. Posso sentire le parole attraverso la mia voce. E quel passaggio tra i due, io e la musica, è una nuova unione a cui dedicarsi. Nella mia tradizione, leggere la composizione di qualcuno è altrettanto importante quanto comporne la mia».

Come definirebbe la scintilla che accende le grandi opere d'arte?

«Le grandi opere d'arte hanno bisogno di tempo. Quella è la scintilla, il tempo, il tempo per creare e quello per capire».

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