«C'è bisogno di interventi di buoncostume!». Eh? «Questa è la vera vergogna italiana!». Ma chi è che urla? «Così si dà il cattivo esempio, ed è chiaro che poi diventano tutti bulli!». Ma che succede? Che bulli? «Con i bulli che abbiamo in Parlamento e al governo, così succede!». Ah, è Di Pietro.
Tranquilli. È normale. I punti esclamativi li abbiamo aggiunti noi, il resto corrisponde a una dichiarazione rilasciata ieri dal leader dell'Italia di se stesso: una delle tante snocciolate ogni giorno nella speranza che i giornali ne riportino almeno una. Ieri la schermata del computer ne riportava una su Angelo Rizzoli che dovrebbe «accendere un cero a Silvio», una sulla legge elettorale «che è schifosa e va cancellata», una su «i ricchi che non pagano le tasse», una che diceva «i politici condannati non devono essere ricandidati», una «Berlusconi ha scelto l'impunità invece che la lotta al crimine», e ancora «L'Italia dei valori non vuole crescere sulle spalle del Pd», «bisogna far chiarezza sull'archivio Genchi», «il governo invece di affrontare la crisi opera per limitare i diritti dei lavoratori». Neppure una parola sulle balene spiaggiate in Tasmania.
Una, comunque, sui giornali è passata: è quella dei bulli. Sarebbero i parlamentari che hanno visto ribassarsi del 20 per cento i prezzi del bar e del ristorante del Senato. Ora il caffè costa 42 centesimi, un tramezzino ne costa 96 e un piatto di tortellini è passato da 1,80 a 1,50: da qui l'uscita su quei bulli che stanno in Parlamento. Perché proprio i bulli? È una delle tecniche minimal usate da Di Pietro per rastrellare presunti consensi; si sarà chiesto: chi è incazzato oggi? E avrà pensato che lo fossero le mamme degli scolari che hanno rimediato il 5 in condotta. Lettura: mamme, i bulli sono loro, vota Idv alle Europee. L'avrà pensato scofanandosi panini alla buvette del Senato come fa sempre, vincendo la ripugnanza per quei prezzi oltraggiosi. I questori hanno detto che il ribasso dei prezzi non incide sulle casse pubbliche, perché è dovuto all'unificazione dell'appalto per bar e ristorante. C'è semplicemente un nuovo gestore che fa prezzi più bassi: ma spiegaglielo a quello lì, che intanto avrà già fatto nuove dichiarazioni sugli infortuni di Kakà e sulla guerra civile in Angola.
Stiamo parlando, non dimentichiamolo, del principe della rendita, il sovrano dello sbafo, l'imperatore dello scrocco. Che scandalo la buvette del Senato: poi eccolo lì che s'ingolfa. Che scandalo mio figlio che chiede favori a Mautone: però non dimetterti dal Consiglio provinciale e dallo stipendio, figliolo. Che scandalo le pensioni dei parlamentari: poi scopri che il suo carnet previdenziale ne fa titolare di almeno tre pensioni, ovviamente tutte statali, perché Di Pietro con il privato non ha lavorato mai. Dal 1979 segretario comunale nel Comasco, dal 1980 vicecommissario di Polizia, dal 1981 magistrato dimessosi non appena maturata la nomina in Appello, nel 1995, così che la pensione fosse più alta. Poi europarlamentare. Poi parlamentare. E quando non lo elessero, tipo il 2001, ecco il suo pensiero: «Quell’estate, i partiti fanno una legge davvero sporca: riconoscono il diritto ad avere il rimborso elettorale anche ai partiti che nel 2001 non avevano raggiunto il quattro per cento, ma avevano superato il due per cento. Dovevano dare una mano ai tanti partitini, che avevano allevato all’interno delle loro coalizioni, che si erano indebitati fino al collo. L’Italia dei valori, che non si era alleata con nessuno, conoscendo i propri limiti, aveva fatto una campagna elettorale oculata e all’insegna del risparmio, pagandola con una fideiussione bancaria personale, mia e di altri candidati». Parole sue nel libro Il guastafeste. Dettaglio: i soldi della legge sporca, cinque miliardi di lire, poi li prese lo stesso. Li mise nella cassa centrale, non li diede ai candidati che si erano autofinanziati: così pure, oggi, la periferia del Partito è interamente autofinanziata e dalla cassa non vede un soldo. Ma poi: di chi stiamo parlando? Dobbiamo ripeterlo ancora? Di quello che da Giancarlo Gorrini scroccò cento milioni, una Mercedes sottocosto poi rivenduta, pratiche legali per la moglie, ombrelli, agende, penne e cartolame, stock di calzettoni al ginocchio, viaggi in jet privato, impiego del figlio.
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