Pino, la mala e il giallo dei soldi degli ultrà

L'obolo che Zaccagni dava alla Curva per i parcheggi spariva. Il ruolo di Caminiti

Pino, la mala e il giallo dei soldi degli ultrà
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«Ha bisogno di un ambiente connotato da pacatezza e rilassatezza, nonché da un amor familiare»: così Giuseppe «Pino» Caminiti, veterano della mala milanese, arrestato nella retata «Doppia Curva» insieme agli stati maggiori degli ultrà di Inter e Milan, ha ottenuto gli arresti domiciliari. L'«amor familiare», per l'avvocato di Caminiti, l'ottimo Angelo Colucci, è la cura migliore per il brutto male da cui il 55enne è afflitto. E il giudice preliminare Domenico Santoro, con l'accordo anche della Procura, ha detto di sì.

La scarcerazione di Caminiti è un passaggio rilevante nell'inchiesta condotta dai pm milanesi sulla penetrazione criminale al «Meazza». Perché Caminiti ha, nella ricostruzione di quanto accadeva dentro e fuori lo stadio, un ruolo importante. È lui l'anello di congiunzione tra criminalità e mondo imprenditoriale. Caminiti fa coppia fissa con Gherardo Zaccagni, l'imprenditore che ha la gestione dei parcheggi intorno a San Siro, quei parcheggi che nella ricostruzione dell'accusa sono una delle principali fonti di sostentamento dei gruppi ultras. Caminiti ha un ruolo doppio, da una parte taglieggia Zaccagni per conto della Curva interista, dall'altro lo spalleggia negli scontri con i rivali d'affari.

Fino a qui siamo davanti a un meccanismo classico delle commistioni tra aziende e malavita, già visto purtroppo in tante inchieste della Procura. Ma la variante in questo caso è costituita dal «pentimento» del più importante tra gli indagati, l'ex capo della Curva Nord nerazzurra Andrea Beretta. Per sottrarsi alla vendetta dei familiari di Antonio Bellocco, il rampollo della 'ndrangheta da lui ammazzato nel settembre scorso, Beretta ha scelto di collaborare con gli inquirenti. Ha ammesso molte colpe, ha fatto ritrovare l'arsenale del gruppo, ha lanciato accuse pesanti su molti dei suoi compagni di Curva: che anche per questo hanno scelto quasi tutti di ridurre i danni chiedendo il giudizio abbreviato (il processo a porte chiuse inizierà il prossimo 4 marzo). Ma su un punto Beretta è stato netto: lui i soldi di Zaccagni, quelli che doveva girargli Caminiti, non li ha mai visti.

Secondo l'ordine di custodia, Beretta e Caminiti e il leader storico della Nord Vittorio Boiocchi, assassinato nel 2022, «mediante minacce esplicite ed implicite, avvalendosi cioè della paura e dell'intimidazione generata dai precedenti penali di Boiocchi e Beretta» si sarebbero fatti consegnare per circa due anni 4mila euro al mese da Zaccagni. Di questi soldi, Beretta dice di non avere visto neanche l'ombra. Quindi: o Zaccagni è riuscito a gestire il business dei posteggi senza scucire un euro, o i suoi soldi si sono persi per strada. E sulla vicenda delle Curve fa irruzione il sospetto che a governare i rapporti ci siano oltre alla violenza e ai soldi anche imbrogli e fregature reciproche.

«Lo stadio - dice Andrea Beretta in uno dei suoi ultimi verbali - è uno sfogarsi della vita quotidiana, è come se fosse il coso dei gladiatori»; e io, dice, «sono un cavallo pazzo». Ma dietro a questa visione un po' mitologica della vita da stadio si annida una realtà meno epica, fatta anche di zanzate, ovvero fregature. Fregature come quelle che lo stesso Beretta veniva accusato di avere orchestrato ai danni di Bellocco e del nuovo frontman della Curva nerazzurra, Marco Ferdico: e che furono alla base del litigio concluso da Beretta ammazzando Bellocco.

Anche i quattromila euro che Zaccagni doveva versare alla Nord sono svaniti in questo vorticare di zanzate? Di sicuro il profilo di Pino Caminiti si presta bene all'ipotesi. Di essere uno cui piace millantare, lo dice lui stesso, per difendersi dalla accusa che gli è piombata addosso mentre era già in carcere per la retata Doppia Curva: quella di avere assassinato nell'ottobre 1992 Fausto Borgioli, un gregario della banda di Francis Turatello. Lo avrebbe rivelato lui a Zaccagni, un giorno che passavano insieme sotto casa di Borgioli: «Qui ho fatto un danno», dice.

Purtroppo per lui, è intercettato e la confidenza si traduce in una accusa da ergastolo. Quando lo hanno interrogato sull'omicidio, Caminiti ha rifiutato di rispondere. Ma la sua linea difensiva è chiara: dicevo solo per vantarmi, per fare impressione a Zaccagni. Basterà a convincere i pm?

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