La politica, le banche e poi? Il mondo ostaggio di Assange

Mal comune mezzo gaudio. A leggere quel che va dicendo in giro questo Julian Assange, fondatore di Wikileaks, per non dire del tono predicatorio che assume nel farlo o della strabordante importanza che attribuisce a se stesso, verrebbe quasi da dire che con lui il mondo intero si sia ritrovato tra le scatole un telepredicatore in versione multinazionale. Senza microfoni auto-deambulanti e senza Fabio Fazio, questo è vero, ma senza più confini. Il massimo comun devastatore di zebedei, insomma.
L’ultima sparata dell’internauta australiano, ben nascosto da qualche parte per sfuggire inizialmente a un’imputazione per stupro della magistratura svedese, ma divenuta ora caccia serrata e incavolata nera degli 007 di parecchi Paesi - americani in testa - ha come obiettivo le banche, la finanza, l’economia in generale. Nascondiglio nemmeno poi così impermeabile, il suo, o forse tana che può contare su alcuni buoni protettori, se si pensa che l’ennesimo annuncio sulle sue soffiate prossime venture Assange lo abbia affidato al quindicinale americano Forbes in un’intervista concessa a Londra l’11 novembre scorso e durata due ore. Così, dopo i segreti militari occidentali, dopo quelli della politica e della diplomazia, ecco incombere il terzo fronte aperto dal più pettegolo e potenzialmente pericoloso sito Internet.
«All’inizio del prossimo anno una grande banca si ritroverà turned out (rivoltata come un calzino, ndr) - ha minacciato Assange parlando alla rivista considerata la Bibbia laica di chi crede nel dio Denaro -. Migliaia di documenti interni verranno pubblicati al di là delle richieste dei manager o altri avvertimenti. Si darà una visione vera e rappresentativa di come le banche si comportano. È l’ecosistema della corruzione». Alla domanda se si tratti per davvero di un importante istituto di credito a stelle e strisce, il giornalista australiano ha risposto affermativamente, aggiungendo subito dopo un pudico «non vi dirò di più» e precisando poi che questo scoop «esporrà gli alti livelli manageriali della banca in un modo che stimolerà indagini e riforme». Chiosando però con un «Presumo» che lascia aperta la porta a diverse interpretazioni. Prima fra tutte che non sia poi così sicuro nemmeno lui che il materiale in suo possesso racchiuda un simile devastante potenziale. O forse che di quelle carte lui ne abbia oggi soltanto una piccola parte. Malcelato dubbio, il suo, peraltro comune a molti analisti del mercato, secondo i quali è improbabile che quei documenti potranno affondare una grande banca americana.
Sempre un filino megalomane e soprattutto un po’ tanto autoreferenziale come ci ha abituati a conoscerlo, Assange è andato ovviamente oltre alla minaccia, finendo per filosofeggiare su se stesso. «Non sono uno anti sistema. Non è corretto mettermi in una casella economica e filosofica - si è quasi indignato -. Ma una cosa è il pensiero liberale americano, un altro il pensiero del libero mercato». Nel senso, ha insistito, che «sino a quando i mercati sono consapevoli, allora io sono un libertario. Ma ho abbastanza conoscenza della politica e della storia - ha aggiunto sempre più modesto - per sapere che il libero mercato rischia di finire in una situazione di monopolio se non si lavora per mantenerlo libero». Finita lì? Nemmeno per sogno. «Wikileaks è nato con lo scopo di rendere il capitalismo più libero ed etico», è stata l’ultima che il biondino, ormai vittima del suo stesso ego, ha finito per sbrodolarsi addosso.
Viene ora spontaneo e legittimo chiedersi quale potrà essere la prossima incursione di Wikileaks e del suo fondatore.

Forse segreti industriali come quello della formula della Coca-Cola? Per ora Assange vola più basso, dicendoci che il principe Andrea, duca di York, si esprime in missione ufficiali con un pesante turpiloquio cockney. A quando le dita nel naso del numero uno del partito comunista cinese?

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