
Qui non si gioca più, e non è solo un modo di dire. Perché dazio contro dazio adesso ci va di mezzo anche il settore dei videogame, ovvero la passione che nuove miliardi di persone e di dollari nel mondo. E l’ultima notizia è quella che coinvolge il simbolo delle console: la Playstation. Sony ha infatti annunciato un aumento dei prezzi della PS5 in Europa, nel Regno Unito e in altri mercati chiave come Australia e Nuova Zelanda.
Secondo quanto riportato in una comunicazione ufficiale dell’azienda giapponese, rilanciata da Bloomberg, l’incremento medio si attesta intorno al 25%, una mossa motivata da “un contesto economico difficile, caratterizzato da inflazione elevata e fluttuazioni dei tassi di cambio”. Ma dietro a queste parole si cela una questione ben più ampia: il crescente impatto dei dazi imposti dagli Stati Uniti alla Cina, che stanno mettendo sotto pressione le catene di approvvigionamento internazionali.
I nuovi prezzi della PS5
Nel dettaglio, il prezzo della PS5 Digital Edition è salito a 429,99 sterline nel Regno Unito (prima era 359,99) e a 499,99 euro in Europa, dove fino a poco tempo fa il prezzo consigliato era 449,99 euro. La versione standard della console, dotata di lettore ottico, mantiene invece per il momento il prezzo attuale, probabilmente per non cercare di impattare troppo negativamente sulle tasche dei consumatori. Il rincaro, come detto, non riguarda solo questa parte del mondo, e significa un salto in alto dei listini da cui sarà difficile tornare indietro.
La decisione di Sony arriva pochi giorni dopo quella di Nintendo, che ha rinviato i preordini della sua nuova console Switch 2 negli Stati Uniti proprio per valutare meglio l’impatto delle misure tariffarie imposte dall’amministrazione Trump. Anche in questo caso, il cuore del problema è la dipendenza dalle fabbriche cinesi, dove gran parte dell’hardware delle console viene ancora oggi assemblato. E per questo Nintendo starebbe valutando l’espansione della produzione in Vietnam, per diversificare la filiera produttiva e sganciarsi, almeno in parte, dal gigante asiatico. Una strategia, questa, già adottata da altre big tech come Apple, che ha trasferito parte della sua produzione in India.
La stangata
L’aumento dei listini potrebbe compromettere l’accessibilità alle piattaforme di gaming per una fascia significativa della popolazione, che già ha visto salire il budget da investire da quando i vari produttori hanno aggiunto ai prezzi dell’hardware tutta una serie di servizi in abbonamento per usufruire di alcune funzionalità. Ed anche le edizioni digitali dei giochi, che in un primo tempo avevano un costo minore rispetto a quelle fisiche, ora hanno subito i rincari maggiori, raggiungendo per molti titoli più conosciuti la soglia psicologica di 100 euro. E’ insomma il prezzo di una globalizzazione che non più scontata: le aziende si trovano ora di fronte alla necessità di rivedere le proprie strategie logistiche per diversificare i partner produttivi, non riuscendo però più ad assorbire i costi maggiori pur di garantire continuità nella distribuzione. E per i consumatori ciò si traduce in una maggiore incertezza e minore convenienza: la conseguenza è che i nuovi dispositivi in arrivo restino sugli scaffali degli store, a favore magari del mercato dell’usato o del gaming su PC e mobile. Là dove, insomma, l’accesso alle piattaforme è più flessibile.
In pratica, con la crisi tra Cina e Stati Uniti il gioco si fa sempre più duro e rende più incerti i prossimi anni.
Solo che, come sempre capita in questi casi, gli effetti sul consumatore finale sono però più immediati e visibili: prezzi più alti, attese più lunghe, meno margine di scelta. Roba che chi fa venir voglia di spegnere la console.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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