La guerra dei dazi e la rivoluzione Trump: cosa può succedere all'asse Ue-Cina?

Il conflitto tariffario avviato da Trump è destinato a ribaltare gli equilibri economici globali. Lo scontro frontale con Pechino pone l'Ue in una situazione delicata. Aprire a Xi tra opportunità e rischi

La guerra dei dazi e la rivoluzione Trump: cosa può succedere all'asse Ue-Cina?

Nonostante Donald Trump abbia messo in pausa il grosso dei suoi dazi globali, i mercati rimangono nervosi. I listini asiatici hanno chiuso contrastati, mentre quelli europei sono deboli. Aleggia nelle borse di mezzo mondo un senso di spaesamento profondo. Mancano certezze, la finanza lo sa, e presto anche l'economia reale dovrà farne i conti. Per queste ragioni l'Unione europea e la Cina sono costrette a trovare una strategia di adattamento per questa nuova stagione dei commerci globali. Questa strategia potrebbe trovare dei punti di contatto. E infatti qualcosa si sta già muovendo.

Le parole di Xi

Fa un certo effetto sentire le parole pronunciate da Xi Jinping durante un incontro con il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez, a Pechino. Il capo della Repubblica popolare ha invitato l'Unione europea a "resistere insieme" di fronte alla guerra commerciale del presidente americano: "La Cina e l'Ue devono assumersi le proprie responsabilità internazionali, proteggere congiuntamente la globalizzazione economica e l'ambiente commerciale internazionale e resistere congiuntamente a qualsiasi coercizione unilaterale".

Da tempo la Cina, non solo per bocca di Xi, insiste sulla necessità di preservare la globalizzazione. Per farlo, è il piano di Xi, bisogna salvare il sistema degli scambi globali isolando gli Stati Uniti. Restando uniti "non solo salvaguarderemo i nostri diritti e interessi legittimi, ma sosterremo anche l'equità e la giustizia internazionali e garantiremo il rispetto delle regole e dell'ordine internazionale".

Verso un summit Cina-Ue

L'Europa, che il 10 aprile ha sospeso i contro-dazi contro gli Usa, ascolta. E intanto la diplomazia è al lavoro. Nella notte il South China Morning Post ha rilanciato l'indiscrezione che la diplomazia cinese e quella dell'Unione sarebbero pronte a un summit da tenere in estate. Cinque fonti avrebbero detto al giornale che mentre Xi sarebbe cauto nel recarsi a Bruxelles, i leader Ue, come il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa e quella della Commissione Ursula von der Leyen, sarebbero intenzionati ad andare nella capitale cinese. L'apertura non è banale dato che il formato del summit prevederebbe l'alternanza delle sedi e l'ultima volta si era tenuto proprio a Pechino.

A stretto giro un portavoce del Consiglio ha confermato che qualcosa si farà: "Ci stiamo coordinando con la Cina per stabilire una data dell'incontro, che è previsto si tenga in Cina, nella seconda metà di luglio". Il summit dovrebbe tenersi subito dopo il vertice tra Ue e Giappone, che dovrebbe avere luogo nel Paese asiatico. I contatti tra europei e cinesi sono fitti. Qualche giorno fa Von der Leyen ha sentito il premier cinese Li Qiang mentre il commissario al commercio Maros Sefcovic ha avuto un bilaterale con il ministro del commercio cinese Weng Wentao. A gennaio Costa aveva sentito telefonicamente proprio Xi Jinping.

Riannodare le relazioni

Come nota il South China Morning Post tempistiche e modalità indicano una certa fretta e rivelano una volontà di riannodare il dialogo lungo l'asse Bruxelles-Pechino proprio per rispondere a un collasso delle relazioni tra le due sponde dell'Atlantico. Il segno di questa volontà passerebbe da dossier concreti come quello delle auto elettriche. Sefcovic e Wentao hanno concordato di lavorare a un superamento dei dazi, magari con l'introduzione di prezzi minimi sulle importazioni dalla Cina come alternativa alle tariffe imposte dall'Ue lo scorso anno.

La strada è però in salita. Nel dicembre del 2020 Bruxelles e Pechino avevano trovato un'unità di intenti nella firma del Cai, il grande accordo sugli investimenti dopo anni di negoziato. L'intesa era stata trovata su regole quadro per migliorare i rapporti economici tra i due poli, in particolare in materia di accesso paritario ai reciproci mercati, parità di condizioni per tutti gli operatori e regole condivise su dossier come clima, salute e lavoro. Nonostante il Cai, però i rapporti Cina-Ue si sono poi raffreddati, complici i legami che la Repubblica Popolare ha stretto con la Russia e rimostranze economiche che non hanno trovato una risposta adeguata da parte delle autorità cinesi, in particolare in materia di aiuti di stato alle industrie, alle esportazioni di metalli pesanti, auto elettriche e batterie.

I rischi nel rapporto con la Cina

Il dialogo Cina-Ue in funzione anti-Trump nasconde anche insidie e difficoltà. Le barriere americane ai prodotti cinesi sono un campanello d'allarme per l'Unione dato che flussi ingenti di prodotti "Made in China" rischiano di riversarsi nel mercato europeo. Un diplomatico Ue sentito qualche giorno fa dal Financial Times aveva spiegato che è necessario "adottare misure di salvaguardia per un numero maggiore di settori industriali. Siamo molto preoccupati che questo possa rappresentare un ulteriore punto di tensione con la Cina. Non mi aspetto che cambino il loro modello di esportazione della sovracapacità".

I timori riguardano diversi comparti, dai materiali di consumo come gli elettrodomestici fino all'industria pesante che teme l'acciaio cinese a basso costo. Secondo un dossier di OCSE lo scorso anno la produzione di acciaio nell'Ue è diminuita mentre in altri Paesi è aumentata. Non solo. Tra il 2024 e 2027 la produzione dovrebbe passare da 602 milioni di tonnellate a 721 milioni, cioè oltre cinque volte la capacità produttiva dell'Ue.

Per queste ragioni, von der Leyen nel suo colloquio con Qiang ha chiesto che la Cina dia una mano per creare "un meccanismo per monitorare eventuali deviazioni degli scambi e garantire che eventuali sviluppi siano debitamente affrontati".

Servirà tempo per capire quale sarà la pietra angolare del nuovo rapporto tra europei e cinesi, quello che è certo è che in questa fase Trump fa più paura delle merci cinesi e dell'opacità economica della Repubblica popolare.

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