La Cina entra nella guerra a Gaza: la mossa con Hamas e Fatah

Le due fazioni palestinesi si sono impegnate per la costruzione di un governo di unità nazionale al termine del conflitto con Israele. Indubbio successo diplomatico per la Cina, che vede aumentare la sua influenza nel Levante

La Cina entra nella guerra a Gaza: la mossa con Hamas e Fatah
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Possibile svolta in Medio Oriente. Quattordici fazioni palestinesi, comprese Hamas e il partito Fatah che governa la Cisgiordania, hanno firmato in Cina un accordo per porre fine alle loro divisioni e gettare le basi per quello che dovrebbe essere un governo di unità nazionale al termine della guerra in corso a Gaza.

La notizia è stata diffusa dal ministro degli Esteri della Repubblica popolare Wang Yi, che ha definito “storica” la “Dichiarazione di Pechino”, e dal membro dell’ufficio politico dell’organizzazione terroristica Musa Abu Marzuk. “Oggi firmiamo un accordo per l'unità nazionale e diciamo che la strada per completare questo cammino è l'unità nazionale. Siamo impegnati per l'unità nazionale e la chiediamo”, ha dichiarato ai media arabi. Secondo quanto si legge nel documento, Hamas e Fatah si sono impegnate nella creazione di uno Stato palestinese sulle terre conquistate da Israele nel 1967. Non è la prima volta che le fazioni sottoscrivono una dichiarazione del genere. L’ultima è stata nel 2011 e il processo si è sempre concluso con un nulla di fatto, il che ha già alimentato dubbi sulla possibile buona riuscita dell’iniziativa sponsorizzata dalla Cina.

Le divisioni tra Hamas e Fatah sono diventate profonde dopo che l’organizzazione terroristica ha vinto le elezioni e preso il potere a Gaza nel 2006, cacciando con una breve guerra civile le fazioni fedeli al presidente dell’Anp Abu Mazen. Nel 2007, i Paesi arabi hanno provato a risolvere le dispute sulla condivisione del potere nella Striscia e in Cisgiordania, senza successo.

Il momentaneo riavvicinamento delle due principali fazioni palestinesi è comunque un indubbio risultato per la Cina, che ha visto aumentare ulteriormente il suo ruolo diplomatico in Medio Oriente dopo il successo nel ripristino delle relazioni tra Arabia Saudita e Iran. Pechino si sta dunque inserendo con forza sempre maggiore in uno scacchiere che, fino ad ora, era stato visto come il “cortile” degli Stati Uniti, con l’eccezione della Siria di Bashar al-Assad solidamente alleata di Mosca.

La presenza sempre più ingombrante della Repubblica popolare nel Levante sta lentamente erodendo l’influenza di Washington che, però, può ancora contare su una rete di alleanze con gli Stati del Golfo e sulle prospettive della normalizzazione delle relazioni tra questi ultimi e Israele, con l’obiettivo di costruire un asse anti-Teheran. Nei prossimi anni, si vedrà se la Casa Bianca riuscirà a mantenere forte il suo primato in Medio Oriente o se, come in Africa, sarà costretta a rinunciare alle sue posizioni in favore del Dragone.

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