Bibi Gol aveva solo 21 anni. Nel mondo libero è l`età per scegliere se continuare gli studi all`università o trovarsi un lavoro magari spiccando il volo dal nido dei genitori. In Afghanistan il tuo destino è segnato in nome di un «apartheid di genere» imposto dai talebani, che costringe le donne a rimanere «prigioniere» delle quattro mura di casa al servizio del marito, spesso imposto, e senza istruzione.
Bibi Gol è scesa in piazza per dire no a questo ingrato destino, sfilando con le coraggiose donne del gruppo «Unità e solidarietà», che si battono nel carcere di genere afghano per i diritti non solo femminili, ma basilari come quello allo studio, al lavoro e soprattutto alla libertà. Kunduz, dove viveva, è un`enclave dei pasthun duri e puri nel nord dell`Afghanistan. I talebani hanno sbattuto in galera Bibi Gol assieme ad altre donne ribelli. Non si sa cosa le abbiano fatto dietro le sbarre, ma una volta rilasciata alla famiglia, che non vuole parlare, ha continuato a subire restrizioni e minacce. Bibi Gol non ha retto e si è tolta la vita. Della giovane afghana rimane solo una foto mezza sfocata (a lato) durante una delle manifestazioni che le sono costate il carcere e la tragica discesa verso la fine. Il volto coperto da un pesante velo color sabbia, una mascherina chirurgica per non farsi riconoscere e un foglio di carta in mano dove le donne coraggiose che protestano contro il regime scrivono parole semplici, ma potenti: «Democrazia, libertà, diritti».
Le attiviste MeToo, le femministe che se non cominci un discorso con «tutti e tutte» ti saltano addosso hanno dimenticato, come gran parte dell`opinione pubblica, il dramma delle donne afghane. Per non parlare dei politici di sinistra che si schierano con l`orgoglio islamico in città come Monfalcone arringando i musulmani scesi in piazza come «futuro del Paese» e iniziando il discorso con «cittadine e cittadine». Le «cittadine» che li ascoltano sono rigorosamente con il velo o ancora peggio il niqab, il burqa nero che le copre dalla testa ai piedi.
All`inizio dell`anno il ministero del Vizio e della Virtù ha scatenato una retata a Kabul a caccia di ragazze che non portano il «velo corretto» ovvero che lasciano ancora vedere il volto, proibito dai padroni medievali del paese. Un portavoce del ministero, Abdul Ghafar Farooq, ha giustificato gli arresti con una dichiarazione sconcertante: «Sono le poche donne che diffondono il cattivo hijab (velo) nella società islamica».
Nonostante avessero concesso il permesso al gentil sesso di venire impiegate nelle agenzie umanitarie i talebani continuano a interferire e a fare scattare le manette per donne e uomini che lavorano assieme. Le Nazioni Unite hanno dovuto sospendere, fino allo scorso settembre, 36 programmi umanitari proprio per pressioni e minacce.
Le donne e gli uomini liberi dovrebbero scatenare l`indignazione internazionale contro l`apartheid di genere dei talebani, ma l`Afghanistan, con le tante Bibi Gol, è un buco nero che preferiamo dimenticare dopo aver promesso per vent`anni libertà e democrazia.
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