"Con lui eravamo più ricchi". Ecco a chi si ispira davvero Trump

Trump non nasconde l'ammirazione per William McKinley passato alla storia per la sua politica protezionista e per aver avviato la tradizione imperiale degli Stati Uniti

"Con lui eravamo più ricchi". Ecco a chi si ispira davvero Trump
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Che presidente sarà Donald Trump durante il suo secondo mandato? Per capirlo potrebbe aiutare guardare al passato, o meglio al predecessore a cui il tycoon sembra ispirarsi maggiormente. Gli studiosi hanno spesso fatto notare come The Donald sia affascinato dalle figure di Andrew Jackson, il primo populista alla Casa Bianca eletto nel 1828, e di Abraham Lincoln, che ha guidato l’America durante gli anni della Guerra Civile. Le sue dichiarazioni degli ultimi mesi lasciano però emergere come sia William McKinley il suo presidente preferito.

Il repubblicano McKinley è tra i primi inquilini del 1600 di Pennsylvania Avenue ad aver dato il via negli Stati Uniti ad una politica estera imperialista. Fu lui a condurre la guerra ispano-americana conquistando Cuba, le Hawaii e le Filippine. Il suo successore Theodore Roosevelt si mosse sulla stessa scia intervenendo nel continente africano, a Porto Rico e a Panama dove rivendicò la sovranità sul Canale. Fu sempre McKinley, presidente tra il 1897 e il 1901, a spingere per una politica economica protezionista godendo dell’appoggio di una serie di ricchi industriali.

Durante la campagna elettorale, Trump ha dichiarato che “negli anni Novanta dell’Ottocento il nostro Paese era probabilmente il più ricco perché c’erano i dazi”. “McKinley era un uomo d’affari molto in gamba”, ha aggiunto il tycoon lasciando emergere tutta la sua ammirazione per il 25esimo presidente - "grande ma sottovalutato" - la cui politica tariffaria protettiva “ha reso la vita dei nostri connazionali più dolce e luminosa”.

Alcuni studiosi hanno però contraddetto l’allora candidato alla presidenza. T.J. Stiles, storico vincitore di un premio Pulitzer, ha ricordato che il periodo a cui si riferisce Trump non è stato il più prospero della storia degli Stati Uniti. Ci furono infatti due recessioni nell’ultimo decennio dell’Ottocento. Stiles ha poi corretto l’ex star di The Apprentice anche su un altro punto affermando che “McKinley non era un uomo d’affari”. In realtà era Mark Hanna, il responsabile della campagna del 25esimo presidente, a garantirgli connessioni (e finanziamenti) con industriali del calibro di John D. Rockfeller e JP Morgan. Hanna, una sorta di Elon Musk ante litteram, è diventato celebre per una sua affermazione: “ci sono due cose che sono importanti in politica. La prima è il denaro, la seconda non me la ricordo.”

Come riscontrato in altre circostanze, Trump maneggia la storia a suo piacimento e anche il sostegno di McKinley ai dazi richiede una precisazione. Durante il suo mandato infatti il repubblicano ebbe un ripensamento sulle soluzioni protezionistiche da lui promosse esprimendo le sue nuove posizioni nel corso di un intervento pubblico il 5 settembre del 1901. Il giorno dopo fu colpito all’addome da un anarchico e morì meno di due settimane più tardi.

Se Trump è davvero consapevole della complessità della figura di McKinley non lo dà a vedere. Le sue prese di posizione sul Canada, Panama e Groenlandia attingono agli anni che il tycoon dipinge come un'epoca d'oro per gli Stati Uniti. E questo a lui sembra bastare.

Intanto il miliardario ha già fatto sapere che intende restituire al Monte Denali in Alaska, la più alta montagna del Nord America, il suo nome originale - Monte McKinley, non a caso - annullando una decisione presa da Barack Obama nel 2015. Con la speranza, forse, che un giorno magari la stessa vetta venga dedicata proprio al presidente che ha promesso di rendere di nuovo grande l'America.

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