Via via che passano i giorni e si delineano meglio i contorni del paesaggio politico d'oltralpe, la vecchia immagine dello stolto che guarda il dito e non si rende conto della luna, torna sempre più d'attualità. Il dito, va da sé, è il Rassemblement National di Marine Le Pen e Jerome Bardella. È il grande sconfitto, ci viene detto e sono i francesi ad averlo decretato. Sarà sicuramente così, ma è il primo partito di Francia, per voti e deputati, il terzo gruppo parlamentare, e però l'unico omogeneo al suo interno, riceverà per questo circa 15 milioni di euro di finanziamento pubblico all'anno
La luna, va da sé, è la Francia, e con essa la democrazia, il buon senso e la Repubblica. Per un anno è condannata all'impasse, perché il suo presidente non può di nuovo sciogliere il Parlamento. Nessuno dei governi che in questo anno di tempo verranno sarà in grado di raggiungere una maggioranza assoluta e se e quando ne otterrà una relativa sarà sempre più frammentata rispetto a quella che Emmanuel Macron aveva avuto nel suo secondo mandato. Altresì, è molto difficile che sia il suo partito Renaissance e gli alleati che gli fanno corona a guidare le danze, sia che cerchi la maggioranza relativa a sinistra, sia che, meno probabile, provi a pescarla a destra. In un caso come nell'altro, non è nemmeno detto che il suo Ensemble, questo il nome della coalizione presidenziale, resti compatto. Come ha riassunto Le Figaro, in una Francia che non è mai stata così di destra, «le elezioni europee e il primo turno delle legislative l'hanno ampiamente dimostrato», Macron e con lui il suo primo ministro Attal, avevano creduto, da fini strateghi, che si potesse sconfiggere il duo Le Pen-Bardella senza per questo far vincere il Nuovo Fronte Popolare. La fine è nota
In una nazione che ama ripassare la storia per cercarvi analogie probabili e/ o imprevedibili, sono in molti a domandarsi a quale sovrano del passato, perché in fondo la Francia è una monarchia repubblicana, Macron assomigli. Il settimanale Le Point lo ha paragonato a Luigi XV; non tanto perché, come alcuni storici sostengono, «fu il peggior re di Francia», ma per l'indolenza mascherata da autorità che gli fu propria. «Inutile et suffisant», inutile e presuntuoso è il giudizio e vale per entrambi. Nei due mandati presidenziali di Macron non c'è traccia di una riforma degna di questo nome, e sì che il suo libro- manifesto apparso nel 2016 si intitolava Revolution!
Di Luigi XV è nota la frase, peraltro mai pronunciata, «aprés moi le deluge», dopo di me il diluvio, ovvero la fine dell'Ancien Régime e della dinastia dei Borboni, l'avvento della RivoluzioneSotto questo aspetto, l'azzardo elettorale da Macron compiuto, e il campo di rovine che quell'azzardo ha provocato, assomigliano a quel diluvio rivoluzionario da Luigi XV annunciato. Come sostiene però lo storico Emmanuel de Waruquiel, il paragone più azzeccato resta quello con Luigi Filippo, il cosiddetto re borghese salito al trono nel 1830. Come Macron andò al potere nel momento in cui le tradizionali famiglie politiche francesi erano ormai usurate; era guidato da uno spirito di rivincita, un Orléans che prendeva il posto dei Borboni che avevano sempre umiliato il ramo cadetto da cui proveniva, allo stesso modo di Macron che non aveva mai fatto veramente parte del Partito socialista in cui era stato accolto con sufficienza. Simile è anche il rapporto che Luigi Filippo ebbe con i suoi primi ministri, sempre detestati, nonché la sua repugnanza a condividere il potere costituzionale che gli aveva permesso di salire al trono. Infine, ricchissimo, la prima fortuna del regno, Luigi Filippo venne percepito come un uomo d'affari e di soldi, il che fu causa della successiva rivoluzione del 1848 e della sua caduta. L'astio
se non l'odio dei francesi contro Macron contempla anche questo aspetto: un passato di lobbista e di banchiere presso RothschildCome riassume de Waresquiel, il disamore dei francesi nei suoi confronti, da Macron vissuto dolorosamente, ha finito con l'esplodere in un «tanto peggio per voi! E quindi con il confondere il bene comune, l'interesse della nazione, l'hibris e i risentimenti».
Avendo studiato bene la luna, vale comunque la pena esaminare più da vicino il dito su cui si sono puntati tutti gli sguardi. Non è sufficiente, come ha detto all'indomani delle elezioni Marine Le Pen, sostenere che «la marea continua a salire e perciò la nostra vittoria non è che rimandata». Per la maggioranza dei francesi, il Rassemblement National rimane un'incognita, se non una minaccia e non è detto che di qui a due anni, cioè alle prossime presidenziali, il rigetto non si ripeta. Il partito sconta una sua debolezza quanto a classe dirigente, l'assenza di uno studio serio rispetto ai reali problemi economici della Francia, la difficoltà a porsi soltanto come un'alternativa totale in un panorama elettorale troppo frastagliato per poter vincere in una corsa solitaria. È un deficit di credibilità quello di cui è affetto il partito, tanto più evidente se si considera che con i suoi quasi 11 milioni di voti risulta sempre più difficile liquidarli in blocco come «fascisti».
Al di là dei giochi politici, delle alleanze più o meno truccate o di comodo, è dentro se stesso che il Rassemblement ha il suo peggior nemico: per vincere bisogna saper convincere, senza dimenticare che a ogni alta marea ne segue una bassa- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.