Alla ricerca dell'effetto Harris: cosa succede se Biden si ritira

Dimettendosi da presidente, Biden lascerebbe Harris andare verso la convention da una posizione di forza senza precedenti, intestandosi a piene mani la nomination democraticaa

Alla ricerca dell'effetto Harris: cosa succede se Biden si ritira

Nel complesso cul-de-sac in cui sono finiti i democratici americani, restano poche opzioni sul tavolo per salvare il salvabile, dopo la mazzata del duello in onda sulla Cnn. Tra le varie idee percorribili ha preso sempre più piede l'idea di transitare verso una convention aperta, ovvero nella quale il presidente dovrebbe fare un passo indietro e "liberare" i delegati conquistati, definitivamente liberi di indirizzare il proprio voto altrove, seguendo o meno un eventuale endorsement di Biden verso qualcuno. Se questo non accadesse, si aprirebbe una corsa tra vari candidati, ripristinando il vecchio meccanismo delle primarie democratiche. La procedura è pomposa, di certo non fa della buona pubblicità al carrozzone democratico.

L'opzione Harris presidente (da subito)

Nelle ultime ore, tuttavia, è intervenuta una preziosa indicazione proveniente dai sondaggi: se Michelle Obama continua a essere la più popolare fra i desiderata dell'elettorato (ma la meno papabile nel partito), la vicepresidente Kamala Harris starebbe guadagnando punti a scapito di Biden, tanto da avere buone possibilità di battere Trump - da cui disterebbe appena due punti percentuali- alle prossime elezioni. Ciò sta accadendo nonostante gli indici di popolarità della vicepresidente siano stati sempre molto bassi negli ultimi quattro anni: fino a poche settimane fa, il giudizio negativo sull'operato della vicepresidente rasentava il 60%, con punte del 40% degli elettori pronti a sostenere che il suo operato abbia addirittura peggiorato la visione della presidenza Biden, dichiarandosi insoddisfatti dell'ipotesi di rivederla come vice nel 2024. Ora le prospettive si ribaltano: ma per cogliere l'opportunità data da questo segnale, occorre fare in fretta.

Biden dovrebbe fare un passo indietro, non da candidato, ma come presidente: sebbene manchino pochi mesi alla fine del mandato, ha nelle sue mani buona parte del futuro prossimo americano. Può, infatti, intestarsi la "benedizione" alla prima donna nera presidente degli Stati Uniti d'America. Un colpo di mano epocale che permetterebbe di ovviare a tutte le incognite di una convention aperta in cui tutti i concorrenti giocano-più o meno-alla pari. Infatti, sostituire meramente un candidato democratico con un altro non salverebbe affatto il partito, destinato a uscire sconfitto dalla competizione elettorale.

L'"effetto" Kamala Harris

Così facendo, invece, Biden otterrebbe nell'immediato due effetti: il primo, vedersi riconosciuto (anche se tardivamente) un grande atto di responsabilità politica, abbandonando il campo; il secondo, consegnerebbe a Kamala Harris gli strumenti per viaggiare verso la convention da presidente degli Stati Uniti d'America uscente.

Al di là dei programmi convincenti o meno che la Harris potrebbe portare con sè, occorre concentrarsi sugli esiti che questa mossa-l'unica potenzialmente vincente rimasta- potrebbe avere: innanzitutto l'effetto sorpresa, che spiazzerebbe l'avversario. Il Gop sarebbe costretto a correre ai ripari di fronte all'idea di avere di fronte a sè un'avversaria temibile, agguerrita, tagliente oratrice, ma soprattutto presente a se stessa. Il dibattito politico si sposterebbe decisamente sui temi cardine, non potendo più spaziare su sgambetti personali, gossip, scheletri nell'armadio ma, soprattutto, sull'eterno giochino sulla senilità.

A seguire, Harris è una candidata tutta da scoprire: biografia, curriculum, idee, strategie e progetti sposterebbero in maniera poderosa l'attenzione sulla candidata democratica; si tratterebbe di una candidatura in grado attirare le luci della ribalta a livello mediatico mondiale, con conseguente possibilità di crescere nei sondaggi e nelle intenzioni di voto. Altro elemento fondamentale è l'effetto che la candidatura in extremis potrebbe avere sugli indecisi: si scatenerebbe una sorta di effetto FOMO (fear of missing out) elettorale, che indurrebbe frange di elettorato-pronte ad astenersi-desiderose di prendere parte a un evento storico.

Harris alla conquista dei "Nè con Biden nè con Trump"

Non si può dimenticare, inoltre, che fin dalle scorse elezioni di metà mandato, gli elettori aveva mandato alla politica un messaggio preciso: nè con Biden nè con Trump. In quell'occasione era stato premiato il voto "intimista", legato a credenze e valori personali, senza troppo pensare alla Casa Bianca. La generazione Z, poi, aveva fatto la differenza, chiedendo risposte su violenza armata, cambiamento climatico, diritto all’aborto, debito scolastico e assistenza sanitaria. Tutti elementi che Harris, seppur di rapina, può togliere di mano al Gop, intestandoseli. Last but not least, le campagne elettorali hanno anche bisogno di retorica del sogno e immagine del domani: non è detto che Harris sia in grado di farlo, ma volendo potrebbe portarsi dietro l'"effetto Obama" che ha già salvato Biden alle midterm.

Si tratta di avere avere inventiva e coraggio, in un sistema ove i partiti non funzionano come quelli europei e nel quaale lo stretto entourage dei candidati fa la differenza. Quello bideniano lo ha convinto di poter proseguire a oltranza con buone possibilità di vincere sol perché sentendosi dalla "parte giusta" della storia. Non è bastato, non basterà.

Qualche sparuto analista azzarda perfino un rivoluzionario ticket con Michelle Obama-che non sa più come ripetere di non voler far politica-come vicepresidente: troppo per i tempi che corrono, troppo perfino per gli Americani, un azzardo che costerebbe certamente la poltrona. Intanto il tempo scorre, inesorabile...

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