L’8 dicembre scorso i residenti dell’elegante e tranquillo quartiere di al-Maliki a Damasco non si aspettavano di essere svegliati nel cuore della notte dalle urla dei soldati. Qui, in una villa modernista di quattro piani circondata dalle palme e arroccata su una collinetta, viveva con la moglie Asma e i loro tre figli l’ex dittatore Bashar al-Assad. Quello però non è un giorno come un altro e ben prima dell'alba i vicini della residenza presidenziale balzano giù dal letto spaventati da un insolito baccano. “Scappate! Arrivano. Che Dio lo maledica. Ci ha abbandonato!”, gridano i militari a guardia della struttura realizzando solo allora che le rassicurazioni fornite sino a poche ore prima dal loro comandante erano frutto di un inganno.
Questo aneddoto è contenuto in una ricostruzione degli ultimi giorni della dinastia alawita pubblicata dal New York Times a due settimane esatte dalla presa della capitale siriana da parte dei ribelli islamisti di Hayat Tahrir al-Sham (Hts). Il quadro che ne emerge, assieme alle testimonianze raccolte dal Washington Post e dal Financial Times, è quello di un capovolgimento delle sorti del regime al potere inaspettato non solo per il macellaio di Damasco ma anche per i miliziani guidati da al-Jolani.
L’offensiva degli insorti era programmata per inizio ottobre quando gli ex qaedisti ritenevano – smentiti poi dai fatti - che i fedayn di Hezbollah avrebbero abbandonato subito la Siria per dare man forte ai compagni in Libano impegnati nel conflitto con Israele. D’altra parte Hts, confinata nell'area della provincia di Idlib, progettava da quattro anni un contrattacco che “avrebbe cambiato l’equilibirio di potere sul campo” e nei primi mesi del 2024 aveva presentato un piano militare alle autorità turche, loro alleate. Secondo un combattente di al-Jolani Ankara lo aveva approvato “in linea di principio” ma non aveva dato il suo via libera.
Qualcosa sembra però muoversi l’11 novembre quando al vertice di Astana in Kazakistan la Turchia avverte la Siria e i suoi sostenitori iraniani e russi che lo status quo nel Paese mediorientale si è fatto “insostenibile”. Hts decide di passare all’azione dopo la firma del cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah e lancia l'assalto che in una decina di giorni porterà alla caduta di Damasco. “L’offensiva dei ribelli”, scrive il Washington Post, “aveva il modesto obiettivo di riconquistare Aleppo”. In realtà la città martoriata da anni di guerra civile si rivela una facile preda, i combattenti puntano dunque i loro obiettivi più a sud e “all’improvviso l’impensabile diventa possibile”.
Assad comincia a percepire il pericolo quando, dopo la presa di Aleppo, il presidente russo Vladimir Putin smette di rispondere alle sue telefonate. Pochi giorni prima l’ex oftalmologo era stato proprio a Mosca, dove già si era trasferita la sua famiglia, per la discussione della tesi di dottorato di suo figlio Hafez. Riletta oggi la dedica inserita nello scritto suona quasi beffarda: “Ai martiri dell’esercito arabo siriano senza i cui sacrifici nessuno di noi esisterebbe”.
Le difficoltà delle truppe regolari, stremate dalla crisi economica e da stipendi miseri, non sono del tutto ignote ad Assad che chiede aiuto, senza grandi risultati, ai suoi alleati in Iran, Russia e persino in Iraq. La situazione è disperata. I comandanti militari di Teheran informano la Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, che gli insorti avanzano troppo velocemente e il sostegno della Repubblica Islamica non è in grado di fare alcuna differenza. In un rapporto redatto dalle Guardie Rivoluzionarie visionato dal New York Times si legge che "il popolo siriano e l’esercito non sono pronti per un’altra guerra. È finita”.
Nelle sue ultime ore a Damasco, Assad fa credere di non voler lasciare il Paese. La sera del 7 dicembre lo staff del palazzo presidenziale lavora ad un discorso in cui il dittatore avrebbe annunciato un piano per la condivisione dei poteri con membri dell’opposizione. Si tratta dell'ultima bugia del capo del regime che, dopo aver celato ogni traccia di preoccupazione, già dopo il tramonto è fuggito dalla capitale in gran segreto volando prima verso una base militare russa nel nord della Siria e poi su un jet russo diretto a Mosca. La notizia della sua fuga arriva dopo la mezzanotte tra la sorpresa e la rabbia delle guardie e dei collaboratori rimasti a palazzo.
Il Financial Times scrive che solo alle 4 del mattino il Cremlino ha concesso “rifugio per motivi umanitari” ad Assad la cui fuga è stata
nascosta anche ad alcuni membri del suo clan, inclusa la famiglia della moglie Asma. E così, al termine di una notte di inganni e tradimenti, la Siria si sveglia scoprendo che la fine del regime è arrivata per davvero.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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