Un Re Sole senza più la bussola. Fermare non significa governare

La coalizione repubblicana per ora è solo una dottrina difensiva. L'autogol del presidente: ha riunito la sinistra più radicale

Un Re Sole senza più la bussola. Fermare non significa governare
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Tre affermazioni racchiudono il significato di una elezione destinata a fare storia. Le «desistenze» hanno ottenuto l'effetto sperato, impedendo al Rassemblement National di confermare il successo del primo turno. La V Repubblica, però, esce da questa prova come snaturata. Mentre il presidente Macron, che tutto ciò ha provocato, non ha più l'egemonia ma, soprattutto, sembra aver perso la bussola.

All'indomani del primo turno, opinionisti, sondaggi e proiezioni avevano immaginato un risultato finale per Marine Le Pen e Jordan Bardella assai più lusinghiero. In tanti avevano creduto possibile, addirittura, il raggiungimento della maggioranza assoluta; altri erano stati più prudenti, ma nessuno aveva messo nel conto la débâcle del secondo turno.

Queste previsioni si basavano su considerazioni razionali. Si riteneva improbabile che la sinistra di Mélenchon e il centro di Macron potessero sommare i propri voti. Si riteneva, soprattutto, fuori dall'ordine delle cose che il candidato di uno dei due partiti potesse «desistere» a favore di un esponente dell'altro schieramento. I centristi di Renaissance e la sinistra identitaria della France Insoumise erano, infatti, separati da un baratro.

Quel che non era stato messo in conto è invece accaduto. Nei giorni subito successivi al primo turno, circa i due terzi delle oltre trecento elezioni «triangolari» (ovvero, con tre candidati che hanno superato la soglia di ammissione al turno decisivo), sono state semplificate attraverso le desistenze, con l'effetto di proporre un concorrente unico contro il candidato del Rassemblement. Il risultato di ieri dice chiaramente che tale scelta non è stata rifiutata dagli elettori. Nella Francia profonda, evidentemente, esiste ancora una forte resistenza nei confronti della destra estrema. In tanti ancora la ritengono incompatibile con la Repubblica.

Il fatto è che lo schieramento che ha chiamato i francesi a far argine, ha contemporaneamente escluso di essere una coalizione pronta a dare un governo alla Francia. La «disciplina repubblicana», insomma, è oggi una dottrina difensiva: utile ad impedire che il nemico conquisti il governo; non idonea, però, a proporre un'alternativa. Vedremo nei prossimi giorni se nuovi colpi di scena modificheranno questo stato di cose. L'incertezza, al momento, pesa non poco sulla logica del sistema. Il semipresidenzialismo della V Repubblica, infatti, è stato immaginato per tirar fuori la Francia da situazioni paludose che hanno caratterizzato la Repubblica precedente, dando maggior peso alla sovranità popolare. Proprio a tal fine, per provare ad evitare ipotesi di coabitazioni, a partire dalle elezioni del 2002 fu introdotto il quinquennat présidentiel, per cui il mandato presidenziale dura cinque anni come la legislatura, e le elezioni presidenziali si svolgono poche settimane prima delle elezioni legislative in modo da condizionarne il risultato. Tutte queste previsioni sono saltate.

I risultati di ieri dicono che la Francia, nel migliore dei casi, avrà un governo di coalizione e che, per questo, tra presidente e primo ministro non vi sarà più un rapporto di assoluta empatia.

Possiamo, a questo punto, dare un giudizio sull'operato di Macron. La sua mossa spericolata la si poteva immaginare come un investimento sulla lunga durata: provare a riguadagnare i suffragi perduti e, contemporaneamente, essere disponibile a coabitare con «i nemici» per provare a fiaccarli attraverso la prova di governo, così come avevano fatto in passato tanti suoi predecessori. Promuovendo le «desistenze», ha preferito, invece, puntare tutto sul tempo breve. Ha fatto venir meno una delle condizioni sulle quali poggiava la sua egemonia centrista: le divisioni della sinistra. Se è possibile, ha fatto ancora di più. Ha dato una mano alla sinistra a riunirsi sotto l'egida del suo critico più implacabile.

Mélenchon, infatti, è il vero vincitore di ieri e al presidente non resta che sperare che l'unità messa insieme sull'onda dell'emozione da lui suscitata si riveli effimera. La destra, invece, non può più a questo punto evitare un interrogativo: De Gaulle, dove sei finito?

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