«Sappiamo che il crimine è stato commesso per mano degli islamici radicali». Per la prima volta Vladimir Putin riconosce che gli autori dell’attentato al Crocus City Hall di Mosca sono riconducibili allo Stato Islamico. Ma il bagno di realtà dura pochissimo, giusto il tempo di tornare a puntare il dito contro i soliti noti. «È stato un atto intimidatorio. La domanda è chi ne trae vantaggio e ne beneficia. È necessario rispondere alla domanda: perché dopo aver commesso il crimine i terroristi hanno cercato di andare in Ucraina? Chi li aspettava lì?», ha detto il leader russo, ancora una volta, però, senza addurre prove di nessun tipo a quella che al momento rimane soltanto una speculazione di comodo.
Una passo avanti e due indietro per Putin che tra le altre cose, accusa nuovamente gli Stati Uniti di complicità con Kiev perché «stanno cercando di convincere tutti che non ci sarebbe traccia di ucraina dietro l’attentato». «Non c’è alcun collegamento con l’Ucraina, questa è solo altra propaganda del Cremlino», ha ribadito ieri il portavoce della Casa Bianca John Kirby.
Quel che è certo è che da subito Putin ha lanciato sospetti verso Kiev, senza mai fare cenno all’Isis.
Un po’ per motivi di palese convenienza politica e militare. Un po’ perché lo stesso Putin, il 6 dicembre del 2017, in visita ufficiale in Siria dall’amico Assad, aveva annunciato ufficialmente la vittoria sull’Isis. Chiaro che adesso una marcia indietro rappresenterebbe l’ennesima caduta nella sua immagine. Oltre alla figuraccia per le clamorose falle nella sicurezza interna, anche in Russia, pure tra i sostenitori della guerra in Ucraina, stanno emergendo nuovi malumori visto che non è più garantita nemmeno la certezza di vivere in pace all’interno dei propri confini.
Al di là delle rivendicazioni, dei video e delle prove, allo Zar conviene seminare dubbi e sospetti. Anche per questo, oltre la coreografica accensione di una candela nella cappella privata della propria residenza, Putin non si recherà sul luogo dell’attentato.
Tra gli altri guai che deve fronteggiare, c’è pure l’ennesima minaccia firmata Isis. «Durante l’attacco di venerdì vi abbiamo già dimostrato che, se Dio vuole, i mujaheddin dello Stato Islamico possono punirvi per tutti i vostri orrori». È il passaggio più crudo dell’ultimo video-messaggio pubblicato dal canale ufficiale dell’Isis, Al-Azaim, in cui i terroristi promettono nuove azioni contro la Russia come vendetta per le torture subite dai quattro miliziani, le cui immagini sono circolate in queste ore. Torture e pestaggi evidenti: dall’orecchio tagliato e infilato in bocca a un terrorista, all’elettrochoc sui genitali per un altro, all’occhio quasi cavato di un terzo fino al volto gonfio e tumefatto dell’ultimo. Immagini e video che, pur se sembra paradossale, hanno fatto infuriare i tagliagole. I quattro del commando del teatro sono comparsi in aula con palesi evidenze di torture. Dalerdzhon Mirzoyev, 32 anni, Saidakrami Rachabalizoda, 30, Shamsidin Fariduni, 25, e Mukhammadsobir Faizov, il più giovane, di 19 anni.
Arrestati ieri anche altri tre tagiki, ritenuti fiancheggiatori degli assalitori. Si tratta di due fratelli e del loro padre, due di loro, hanno anche passaporto russo e sono stati posti in custodia cautelare in attesa di accertamenti. In particolare avrebbero venduto al commando la Renalult bianca utilizzata per il tentativo di fuga. Tornando ai quattro, per quanto ritenuti responsabili (e due di loro rei confessi), è evidente che qualsiasi frase proferita sotto tortura non abbia grande attendibilità.
E, in ogni caso, metta in evidenza come funzioni la macchina della giustizia in Russia. Del resto «bisogna uccidere tutti coloro che sono coinvolti nell’attacco», non l’ha detto il primo che passa ma il falco del Cremlino Dmitry Medvedev.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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