Bomba Tunisia, caccia ai trafficanti e coinvolgimento degli stati di bandiera delle navi Ong sono i punti fermi del piano di battaglia di Giorgia Meloni in vista del conclave europeo che inizierà domani. In Italia sono già sbarcati da gennaio 20.365 migranti, oltre tre volte tanto lo stesso periodo dello scorso anno. E le previsioni più «moderate», della Guardia costiera, paventano l’arrivo di 138.100 persone nel 2023. Le stime lungo le singole rotte parlano chiaro: 63mila dalla Libia e altri 21mila dalla rotta orientale, che rischia sempre di finire in tragedia come il naufragio di Cutro.
Ben 53mila dalla Tunisia, una vera e propria bomba ad orologeria, come ha sottolineato ieri in Parlamento la premier. Il paese nordafricano «è a rischio default» e Meloni, in prima persona, sta esercitando tutte le pressioni possibili sul Fondo monetario internazionale, che non molla 1,9 miliardi di dollari per tenere in piedi il Paese. La Commissione europea è come sempre di una lentezza pachidermica, ostaggio della puzza sotto il naso nei confronti del presidente tunisino Kais Saied, che va per le spicce anche con i migranti. Meloni ne ha parlato lunedì con il commissario italiano Gentiloni, dopo l’ennesimo rinvio di una visita Ue ad alto livello prevista a inizio mese a Tunisi. Meloni ribadisce che se abbiamo speso 6 miliardi di euro per la Turchia, per tamponare la rotta balcanica, adesso bisogna fare qualcosa del genere con la Tunisia. Altrimenti resteremo come sempre con il cerino in mano e dovremo fare da soli.
In estate, quando aumenteranno gli arrivi, l’alternativa è qualcosa che assomiglia al blocco navale: in collaborazione con la Guardia costiera tunisina fermare i migranti e farli riportare a terra, come fece Prodi con l’Albania. Piano arduo che potrebbe venire sostituito o potenziato da controlli delle frontiere terrestri nel Sahara con l’appoggio di personale militare italiano, ma tutto dipende se riusciamo a far ottenere i soldi necessari a Saied per salvare il paese. Meloni ha puntato il dito anche sugli Stati di bandiera delle navi dei talebani dell’accoglienza, che scorrazzano nel Mediterraneo e hanno fatto sbarcare, lo scorso anno, oltre 11 mila migranti. Le unità navali di questi Stati dovrebbero venire a far soccorso nel Mediterraneo portandosi a casa i migranti.
La sfida epocale si combatte a monte, a cominciare dai Paesi africani, garantendo il diritto a «non partire» con un «piano Mattei». E pure con la caccia senza quartiere ai trafficanti con nuove normative, anche spregiudicate, che permettano di andare a prendere i criminali della tratta di essere umani distruggendo barconi e barchini usati per le partenze. Impresa non facile, che necessita di accordi con le autorità locali.
Su Cutro va in scena il consueto scaricabarile europeo, con il direttore di Frontex Hans Leijtens: all’Europarlamento ha affermato che l’agenzia ha «assolto al compito di segnalazione alle autorità italiane», mentre la decisione spettava al nostro Paese. Ma suona stonata la battaglia della sinistra. L’obiettivo è trovare la pagliuzza per colpire il governo oltraggiando la Guardia costiera. Però non ci si accorge della trave nell’occhio: le testimonianze al tribunale di Catanzaro che indaga sul naufragio hanno fatto emergere che gli scafisti «non volevano chiamare i soccorsi».
E ancora peggio che i trafficanti avrebbero preteso il saldo degli 8300 euro per la traversata mortale dai parenti dei sopravvissuti. Vere e proprie carogne, responsabili primari dei naufragi, da combattere senza pietà.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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