Ancora alla vigilia di Natale, nel corso del Consigli dei ministri, l'unanimità sul decreto che consente di rifornire di armi l'Ucraina per tutto il 2025 era un fatto scontato. E quindi da passare quasi inosservato. A cinque giorni di distanza, però, quell'unanimità è solo un ricordo. E il fronte di governo mostra le prime crepe sul tema della guerra che oppone Kiev a Mosca.
Ed è il capogruppo al Senato del Carroccio a mostrare la distanza che separa il suo partito dal resto della maggioranza. «Non è previsto alcun ordine del giorno sul tema dell'Ucraina - dice Massimiliano Romeo al Senato - «ma serve un segnale di discontinuità. Dobbiamo andare verso la pace, serve un segnale». Le sue parole sembrano soprattutto un corollario all'ultima dichiarazione di Vladimir Putin («La Russia vuole porre fine al conflitto in Ucraina, non vuole congelarlo»). Sul tema della guerra che oppone Kiev a Mosca la Lega ha sempre tenuto una posizione alternativa a quella del governo. Pur avendo votato sempre a favore dell'invio di armi a Kiev, il leader della Lega non ha mai rinunciato a esibire sul
tema un'ambiguità di fondo. Atteggiamento poco consono quando si tratta di politica estera e difesa dove serve sempre una granitica compattezza della maggioranza di governo.
Lo stesso ministro della Difesa Guido Crosetto già alla vigilia di Natale parlava di «onorare gli impegni» con gli alleati e con l'Ucraina. E il senso di quelle parole si ritrova nelle prese di posizione che autorevoli esponenti del partito della Meloni hanno espresso sul tema. Si va dal capogruppo alla Camera, Galeazzo Bignami, che in un'intervista alla Stampa conferma l'impegno del nostro Paese al fianco dell'Ucraina e a difesa dello stato di diritto. «L'Italia continuerà a fare la sua parte al fianco di Kiev - spiega il parlamentare di Fratelli d'Italia -. Sul fronte degli aiuti militari a Kiev, anche rispetto alle richieste della Lega, si troverà come sempre un punto di caduta comune. Ma se l'Ucraina ci chiederà ancora aiuti, l'Italia non si tirerà certo indietro e si coordinerà con i suoi partner europei». E soltanto domenica scorsa la Meloni dal vertice in Lapponia aveva ricordato che la Russia resta per l'Unione europea una «minaccia molto più grande di quanto si possa immaginare».
Mentre ieri il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari ha ribadito che «la linea dell'amministrazione americana sull'Ucraina non cambierà con l'arrivo di Trump».
Gli alleati ora temono che la svolta pacifista di Salvini possa ricalcare quanto già avvenuto sul fronte opposto dove il leader dei Cinquestelle ha abbracciato la scelta di un pacifismo radicale per sciogliersi dall'abbraccio asfissiante del Pd e di recuperare consensi. Forza Italia e Fratelli d'Italia non lo dicono apertamente ma temono proprio la stessa parabola.
Con un Salvini più defilato per recuperare un consenso che negli ultimi mesi ha visto calare. Anche l'assoluzione al processo Open Arms non aiuta. Visto che, come sottolineano gli osservatori più smaliziati, la condanna sarebbe stata più redditizia proprio in termini di esposizione mediatica e consenso.
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