Sei mesi di guerra e zero piani di pace

Il bilancio è tragico. E il negoziato è l'unica via per evitare un conflitto senza fine: Putin va convinto a fermarsi, Zelensky che non riuscirà a cacciare i russi senza coinvolgere la Nato. Scatenando una guerra mondiale

Sei mesi di guerra e zero piani di pace

Dopo sei mesi di guerra distruttiva e sanguinosa, nel cuore dell'Europa, come usciamo da quest'incubo? È questa la domanda da porsi cercando di trovare una realistica risposta piuttosto che continuare a ribadire l'appoggio a oltranza all'Ucraina, che ovviamente non può mancare, ma diventa sterile o addirittura controproducente se non si lotta per una via d'uscita negoziale. Primi fra tutti dovrebbero essere gli schieramenti politici, in vista delle elezioni del 25 settembre, a parlarne, proponendo un'idea, una tabella di marcia, una fievole luce in fondo al tunnel. Al contrario la guerra sembra un tabù e si affrontano solo gli effetti «collaterali», che ci riguardano da vicino, come l'impennata del prezzo del gas. Giusto, ma il problema va risolto a monte affrontando il nodo del conflitto, che alla vigilia dell'indipendenza ucraina, con il timore di una tempesta militare russa, vera o presunta, ha messo a nudo il tributo di sangue già versato.

Il generale Valerii Zaluzhnyi, comandante dell'esercito ucraino, ha ammesso che sono caduti quasi 9mila soldati. La Cia con stime più attendibili rispetto ai numeri sparati fino a oggi indica in 15mila uomini le perdite russe. I civili uccisi stanno arrivando a 5mila e i bambini morti o feriti sono 942, una terribile media di 5 al giorno. Negli otto anni di guerra precedente nel Donbass, colpevolmente sottovalutata e dimenticata dalla comunità internazionale, le vittime sono state 14mila, poco meno della metà degli ultimi sei mesi. Il peso del sangue, oltre ai pesanti riflessi negativi non solo economici, dovrebbe spingerci a trovare una soluzione il prima possibile per evitare di precipitare verso una guerra di logoramento senza fine.

Non si tratta di abbandonare gli ucraini al loro destino o cancellare le sanzioni perché danneggiano più noi che le abbiamo imposte e meno la Russia. Oppure restare aggrappati alla linea del Piave del premier Draghi, che ufficialmente è quella europea, di continuare a fornire armi a Kiev ribadendo che la pace la devono decidere gli ucraini. Ovvio che sarà il Paese invaso a scegliere il suo destino, ma proprio gli strumenti degli aiuti militari e delle sanzioni non devono servire solo a far resistere l'Ucraina fino all'ultimo uomo. Al contrario sono una leva per convincere il presidente Zelensky a imboccare la strada del negoziato per il bene del suo popolo e dell'Europa intera. Gli ucraini non possono vincere questa guerra ricacciando i russi oltre confine se non con un intervento armato della Nato che significherebbe un impossibile e suicida conflitto nucleare.

Qualsiasi trattativa è fatta di piccoli passi come lo sblocco del grano e si spera la messa in sicurezza della centrale nucleare di Zaporizhzhia. E non può che partire da un congelamento delle posizioni per arrivare a una tregua duratura. Poi vanno affrontati i nodi più spinosi, uno alla volta: Kherson con un vero referendum, Mariupol città aperta grazie a una polizia dell'Onu, Donbass come l'Alto Adige con i caschi blu italiani. Odessa intoccabile in cambio di amputazioni dolorose, ma già avvenute di fatto, come la Crimea. Tutte proposte, giuste o sbagliate, che dovrebbero saltare fuori dai politici in lizza per governare l'Italia. Dopo i primi sei mesi di guerra senza passi in avanti non basta giurare fedeltà alla Nato e allo Zio Sam o pensare di risolvere tutto togliendo le sanzioni.

Fino a ora solo i turchi sono riusciti a combinare qualcosa. Nel bene o nel male sono alleati nella Nato, che forniscono i droni armati agli ucraini, ma dialogano con Vladimir Putin. Pure i russi si renderanno conto che non potranno mai vincere del tutto e che il costo dell'«operazione speciale» sta diventando troppo alto. Per questo, direttamente o con terze parti, bisogna convincere il Cremlino ad abbandonare la via della guerra.

L'orizzonte, però, è denso delle colonne di fumo di artiglierie e missili. Seppure lentamente gli invasori prenderanno tutto il Donbass. Poi il nuovo Zar proporrà la «pax russa», ovvero il riconoscimento delle conquiste, che verrà respinta da Kiev. E così avrà il pretesto per spostare il tiro su Odessa, il vero obiettivo finale. Perdere l'unico sbocco al mare degno di questo nome significherebbe lo strangolamento dell'Ucraina.

Se a Londra diventasse premier Liz Truss, nuova Lady di ferro, la flotta britannica potrebbe difendere Odessa e guidare una coalizione di Paesi europei duri e puri come Polonia, Baltici e Repubblica Ceca a fianco degli ucraini. Ufficialmente senza cappello Nato, ma il rischio di scontro totale e devastante sarebbe altissimo. Per questo bisogna parlare della guerra prima del voto e trovare a tutti i costi una strada per la pace.

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