Addio al maestro Cucchi, il grande giornalista dei servizi speciali

È morto a 78 anni l'ex vice direttore del "Giornale". Ha cresciuto generazioni di giovani cronisti

A destra, Luigi Cucchi; di fronte, Pierluigi Bonora; dietro, gli altri colleghi del Giornale
A destra, Luigi Cucchi; di fronte, Pierluigi Bonora; dietro, gli altri colleghi del Giornale
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Si chiamava «Redazione Servizi Speciali», ma per tutti era «da Cucchi», come fosse un ristorante. E lui si chiamava Luigi, ma per tutti, nel Giornale e fuori, parliamo degli anni '80 e '90, era il collettore della comunicazione professionale. Oggi come allora, senza pubblicità i giornali, di carta e non di carta, si accartocciano e si bruciano, e non insorgano gli inserzionisti se qui e ora, dopo oltre 35 anni, aggiungiamo un «purtroppo». Per chi lavorava nella redazione diretta da Luigi (scomparso ieri a 78 anni a Milano), quel «purtroppo» non esisteva ancora. Esisteva il «per fortuna». La notizia prima di tutto? Sì, ma il 6 per 3 e il 4 per 5 e, meglio ancora, le pagine intere (intese come ingombri pubblicitari) avevano quasi pari dignità rispetto alla parte più autenticamente giornalistica. I maliziosi la chiamavano redazione «paragiornalistica», «parapubblicitaria» o anche «marchettara», la verità è che si trattava, anche lì, di informazione.

La Redazione Servizi Speciali, piaccia o non piaccia, era dunque una scuola di giornalismo: vi si faceva un Giornale parallelo e deferente rispetto al Giornale di Montanelli, per alimentare il Giornale di Montanelli. In ordine alfabetico: Agricoltura, Ambiente, Medicina, Moda, Motori, Scienza, Turismo, più gli Speciali regionali o provinciali. Nel momento di massimo fulgore arrivammo a essere in 18, incluse due segretarie e una compositrice di articoli che li batteva copiandoli dai nostri dattiloscritti e poi li riversava sui cari, vecchi floppy disk da portare in tipografia. E noi spesso si usciva, facendo finta di essere degli inviati, per portare a casa i pezzi da mettere intorno alla pubblicità, fossero l'intervista a un big del golf o dei surgelati oppure la partecipazione a un seminario per cronisti ambientalisti o alla presentazione di una nuova automobile. Altri tempi, altri numeri, altri entusiasmi.

Ma è un fatto che quello era un modo per consentire al Giornale di prosperare senza sostegni non trasparenti. Qualcuno tra noi mordeva il freno, aspirava a salire, dal primo piano di via Gaetano Negri civico 4, ai piani superiori, dove si faceva il Giornale vero, dove si poteva incontrare il caporedattore centrale Sarcina e persino Indro. Lui, Luigi, comprendeva le aspirazioni dei suoi ragazzi, ma se li teneva stretti, e quando li convocava nell'«Acquario», il suo ufficio dotato di pesciolini più o meno tropicali, dalla sua mole nel senso buono falstaffiana incastrata nella poltrona uscivano cicchetti o buffetti, sempre senza rancore e sempre senza paternalismo.

Poi, insediatosi il governo Feltri I, a cavallo della «discesa in campo» di Berlusconi e dell'esodo vociano capeggiato da Indro, Luigi, nel frattempo diventato vicedirettore del Giornale intero, iniziò a perdere i pezzi. Ma il suo lavoro l'aveva fatto: formando alla professione una ventina di persone, con generosità, rigore e affetto. Sempre ricambiato, anche e soprattutto adesso.

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