Un mese di ulteriori restrizioni, da sabato 6 marzo a martedì 6 aprile, e nuove regole sulla vita sociale, a partire dalle scuole - nuovo fronte della guerra italiana al Covid - e dalla cultura che invece può tornare, in zona gialla, con cinema e teatri. E poi varianti, vaccini, ristori, congedi da finanziare con 200 milioni, e didattica a distanza da potenziare anche con i soldi del «Recovery» europeo.
Il nuovo dpcm sul Covid firmato ieri dal presidente del Consiglio Mario Draghi, è stato presentato dai ministri Mariastella Gelmini e Roberto Speranza, nel corso di una conferenza stampa che è servita, oltre che a illustrare le misure, anche a fare il punto sulla situazione dell'epidemia, a un anno dalla sua drammatica comparsa in Italia, e a prospettare nuove misure economiche.
Ha lavorato al suo decreto il premier, ma non ha partecipato all'evento allestito, con una certa solennità, a Palazzo Chigi. Ha così sancito Draghi - plasticamente - la fine degli «one man show» dal sapore paternalista che avevano contrassegnato nei mesi scorsi le comunicazioni del predecessore Giuseppe Conte, orchestrate dall'onnipresente Rocco Casalino. Vistosa assenza, quella del premier, e non casuale: la portavoce Paola Ansuini ha spiegato che è una scelta dovuta allo «spirito di squadra» con cui il presidente del Consiglio intende il lavoro del governo. Ma ha garantito anche che Palazzo Chigi sta «studiando un'agenda che soddisferà la legittima domanda» sulla presenza pubblica del premier.
Riflettori sui ministri dunque, espressione delle due anime dell'esecutivo e della maggioranza. Speranza, esponente della sinistra e già ministro della Salute con Conte, ha garantito che il decreto «prova a mantenere un impianto di conservazione nelle misure essenziali vigenti», sottolineando come la battaglia sanitaria sia il «faro» anche di questa compagine governativa, che la intende «come prima mattonella di una fase espansiva», in un momento in cui il contagio torna a dare «segnali robusti di ripresa». E il meccanismo dei colori e delle zone in effetti resta.
La neo ministro degli Affari regionali, Gelmini, al contrario ha chiaramente valorizzato gli elementi di novità. A partire dal giorno in cui si è stabilito che entreranno in vigore le misure decise dal governo: il lunedì, oltre quindi i fine settimana di incertezza, che erano diventati un danno e una beffa per tanti commercianti. Niente più «one man show», dunque, e niente più annunci «last minute» - ha evidenziato l'esponente di Fi - annunciando anche che sarà avviato un tavolo tecnico anche per rivedere - come chiedevano da tempo le Regioni - i parametri delle zone. Il famoso «cambio di passo» che il centrodestra invoca. «Nostro dovere - ha spiegato Gelmini - è dare risposte per traghettare il Paese fuori dall'emergenza e dalla prostrazione».
Con toni diversi, le due anime del governo hanno provato ad accordarsi su uno spartito condiviso (e condiviso con Regioni, Province e Comuni). Gelmini ha parlato di «un governo di unità nazionale fortemente voluto dal presidente della Repubblica», «con un nemico comune, il Covid, in un'emergenza straordinaria in cui le differenze ma sullo sfondo».
A dar loro manforte, il presidente dell'Istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, e quello del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli, che hanno fatto il punto sulla variante inglese, ormai dominante in Italia, particolarmente contagiosa e presente nelle fascia d'età 10-19 anni, ma non più
severa delle precedenti forme. E hanno confermato, i due tecnici, la gravità del quadro, ma senza allarmismi, suggerendo grande cautela sull'ipotesi di varianti capaci di «sfuggire» ai vaccini, sfida decisiva come non mai.
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