Il 25 aprile nel nome di Viktor Orbán. Tutto può accadere in questa Italia disorientata, dove le incertezze si riflettono su un fronte di guerra non troppo lontano. Non si sa neppure bene chi sta con chi e dove passa la resistenza, tanto che i colori si scambiano di posto e il verticale si fa orizzontale. La storia di ieri è questa. L'Anpi, custode un po' distratta della memoria partigiana, presenta il manifesto ufficiale della festa della liberazione. È il disegno di una piazza, con il campanile, gli alberi sempreverdi, le colline sullo sfondo quasi a ricordare Pavese, la scalinata, la solita panchina dove passano generazioni e qualche volta si incontrano. È il tipico borgo italiano, con un vago tocco rinascimentale, tanto per non perdere la speranza. Sulla finestra più vicina c'è una donna che sostiene una bandiera arcobaleno e sul pavimento una scritta con il gesso bianco, che ricorda l'articolo 11 della Costituzione: l'Italia ripudia la guerra.
La beffa si nasconde laggiù, sulle finestre più lontane, quelle dove la mattina sorge il sole, verso Est, con le persiane chiuse sulla facciata gialla. Anche lì ci sono due bandiere e senza dubbio sono tricolori. Rosso, bianco e verde. Rosso come il sangue, bianco come le vette innevate, verde come la pianura. È la bandiera di tre colori e è sempre stata la più bella. Si cantava così, una volta, come una filastrocca per bambini. Solo che c'è qualcosa che non torna, uno di quei dispetti della sorte che capita quando la testa vaga altrove: il rosso sta dove dovrebbe stare il verde e viceversa. L'ordine non è quello italiano. La pianura, le montagne e poi il sangue. La nostra bandiera è verde, bianca e rossa e pazienza che quando la declamiamo per un refuso popolare ci viene da dire biancorossoeverde. Quella lì, a vederla bene, piazzata così in orizzontale, non è affatto la bandiera italiana. È quella ungherese, stessi colori, ma sequenza diversa. È nata durante i moti rivoluzionari del 1848 e odora come la nostra di risorgimento. Non ci sono valli e montagne e neppure il sangue. Rosso come la forza, bianco la fedeltà, verde la speranza. La bandiera ungherese in un altro 48, il 1948, è stata più sfortunata della nostra. Noi siamo finiti a Ovest e loro a Est. A dividerci una cortina di ferro.
Capita di sbagliare, si prenda l'errore per quello che è: un refuso, una distratta ignoranza. Solo che dietro una svista qualche volta si nasconde la realtà.
L'Anpi fatica a condannare senza retropensieri la guerra di Putin. È come se nelle loro parole i colori incespicassero, con qualche ombra di troppo. È quello che accade anche a Orban, sovranista magiaro. Tutti e due sotto la stessa bandiera.
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