La decisione della Regione Lazio di ritirare il patrocinio al Roma Pride ha suscitato, come prevedibile, numerose polemiche con forti accuse degli organizzatori e della sinistra nei confronti del governatore Francesco Rocca, della giunta regionale e di tutto il centrodestra. Eppure, la scelta di non concedere più il patrocinio al pride, non solo è stata giusta ma doverosa alla luce di quanto emerso sulla manifestazione che si terrà sabato nella Capitale come denunciato dall'organizzazione Pro Vita e Famiglia e dal suo portavoce Jacopo Coghe.
Oltre alle parole del promotore Mario Colamarino, colpisce il contenuto del documento politico «Queeresistenza» pubblicato sul sito della manifestazione. Non siamo solo di fronte a un evento che la comunità Lgbt organizza dal proprio punto di vista legittimamente per chiedere più diritti ma al cospetto di rivendicazioni radicali ed estreme.
«Queeresistenza» è a tutti gli effetti un manifesto di come gli organizzatori del pride vorrebbero trasformare la società a partire dal linguaggio in cui abbonda l'utilizzo della schwa definendo la comunità Lgbt LGBTQIAK+ e rivendicando il diritto «all'autodeterminazione».
Gli appartenenti alla comunità «impossibile da elencare per intero» vengono così descritti in un elenco a tratti grottesco: «Siamo donne, padri, migranti, froci*, travestit*, disoccupat*, precari*, antifascist*, student*, operai*, insegnant*, artist*, transgender, lesbiche, anzian*, drag queen, queer, persone al primo coming out, persone per la prima volta al Pride, persone nere, asiatiche e latine, omosessuali, fratelli, sorelle, sex worker, femminist, disabili, uomini, professionist*, genitori di figli* omosessuali, asessuali, lavorator*, drag king, giovani, intersex, sportiv*, bisessuali, rom, sinti e camminanti, gender-fluid, attivist*, intellettuali, madri, persone che praticano sessualità non convenzionali, kinky e BDSM, genitori omosessuali, persone povere, sierocoinvolte, aromantiche, non binarie».
A finire sul banco degli imputati è, ça va sans dire, la famiglia, si parla infatti di «famiglie al plurale» affermando che «le configurazioni familiari sono infinite» e proponendo un nuovo modello di famiglia per «dare voce anche a chi non si riconosce nel modello di coppia monogama».
Da qui la rivendicazione di «una riforma del diritto di famiglia che preveda matrimonio egualitario, riconoscimento dell figli alla nascita da parte di entrambi i genitori e la trascrizione degli atti di nascita formati all'estero» fino alla richiesta della maternità surrogata: «vogliamo una legge che introduca e disciplini anche in Italia una gestazione per altri (GPA)».
Nel documento è dedicata un'attenzione particolare ai bambini che sono citati in numerosi passaggi: «fin dai primi Pride quando bambin* arcobaleno ante litteram sfilavano accanto a dyke in pelle e motocicletta e a leather men con maschere antigas e fruste». Non è solo la famiglia a finire nel mirino degli organizzatori del Roma Pride ma l'intero modello di società «unicamente occidentale e bianca» auspicando una comunità «afrodiscendente, asiatica, latina, migrante».
Concedere il patrocinio al Roma Pride significherebbe perciò avallare le idee e le proposte contenute
nel documento politico che non solo rappresentano una visione della società eticamente inaccettabile per ogni conservatore ma propongono istanze radicali da cui è necessario prendere le distanze e non certo patrocinarle.
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