Nel day after del voto di Strasburgo che ha sancito la spaccatura del Parlamento europeo sulle politiche di sostegno all'Ucraina e proprio mentre Ursula von der Leyen è a Kiev per ribadire «la vicinanza dell'Ue» e confermare a Volodymyr Zelensky il prestito di 35 miliardi di euro, a Budapest si tiene un lungo incontro tra Viktor Orbán e Matteo Salvini. Oltre un'ora di colloquio, inizialmente a tu per tu e poi allargato alle rispettive delegazioni, al termine del quale i due ribadiscono l'urgenza di fermare il conflitto in Ucraina. Lo fanno citando «l'auspicio del Santo Padre», ma non è un mistero che il premier ungherese abbia una posizione estremamente critica sul sostegno all'Ucraina, tanto che la maggior parte dei leader europei non esita a definirlo «filorusso». Al punto che lo scorso luglio la sua doppia visita a Kiev e Mosca scatenò le critiche di ben venti Paesi Ue e l'irritazione di von der Leyen.
Insomma, se è indubbio che sull'Ucraina esistono sensibilità diverse non solo all'interno delle stesse coalizioni ma alle volte anche di singoli partiti (vedi il Pd), è altrettanto certo che Orbán rappresenta una posizione estrema. D'altra parte, anche Salvini sul punto è stato sempre molto critico, limitandosi a non mettersi di traverso nei passaggi parlamentari sui diversi pacchetti di armi (a fine mese dovrebbe arrivare a Kiev il sistema di difesa italiano Samp-T), ma non lesinando dubbi. Non è un caso che in serata Antonio Tajani faccia presente che Orbán e Salvini «fanno parte della stessa famiglia politica» (I Patrioti, dove milita anche il Rassemblement national di Marine Le Pen) e hanno una «posizione diversa dal Ppe». Che, peraltro, Salvini rivendica con forza. Tanto che da una parte il vicepremier leghista non ha dubbi sul fatto che la Lega «voterà a favore di Raffaele Fitto» quando a metà ottobre ci saranno le audizioni del Parlamento Ue, perché «l'interesse nazionale viene prima di quello di partito». Ma dall'altra non esita a ribadire che «un altro paio di maniche è l'intera Commissione e una von der Leyen che nei cinque anni passati ha sbagliato tutto».
Ma a Budapest, dove il vicepremier italiano partecipa al Consiglio Ue informale sui Trasporti, aleggia soprattutto la questione ucraina (con un occhio alle presidenziali americane del 5 novembre e l'auspicio che una vittoria di Donald Trump acceleri una svolta). Solo l'altro ieri, d'altra parte, al Parlamento europeo Forza Italia (che è nel Ppe) e Fdi (che milita in Ecr) hanno votato a favore della risoluzione pro-Kiev, a differenza della Lega e degli ungheresi di Fidesz che si sono espressi contro. E, peraltro, non è un mistero che la diversa sensibilità sul tema tra Giorgia Meloni e Orbán sia stato nei mesi scorsi il principale ostacolo all'ingresso di Fidesz in Ecr.
Oltre all'Ucraina, fanno sapere da via Bellerio, la visita «è stata l'occasione per alcune riflessioni a tutto campo, a partire dagli equilibri nell'Unione europea fino ad argomenti concreti di collaborazione tra i due Paesi come lo sviluppo del porto di Trieste. Porto a cui Budapest guarda con particolare interesse in quanto sbocco strategico sul Mediterraneo».
Insomma, si salda l'asse tra Orbán e Salvini. Che sì, militano insieme nella famiglia europea dei Patrioti, ma che ci tengono a rimandare all'esterno l'immagine di un'intesa forte come forse mai era accaduto. «Il patriota più ricercato d'Europa, il nostro eroe», è il benvenuto che gli riserva il premier ungherese. Che manderà una delegazione di Fidesz al tradizionale raduno leghista di Pontida in programma il 6 ottobre. Non solo.
Il leader ungherese non farà mancare il sostegno al suo «eroe» neanche il 18 ottobre, quando a Palermo Giulia Bongiorno terrà l'arringa al processo Open Arms. Chissà, infine, se i due hanno affrontato anche il caso Roberto Vannacci, recentemente sospeso dalla vicepresidenza dei Patrioti. Una decisione che il generale pare non aver preso affatto bene.
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