"Gli attacchi russi pure all'agricoltura. L'export è fermo noi non molliamo"

L'allarme di un produttore di cereali ucraino sul blocco della logistica: "Bombardamenti mirati a far saltare la catena della semina". Crisi in vista. Scarseggiano il carburante e i fertilizzanti.

"Gli attacchi russi pure all'agricoltura. L'export è fermo noi non molliamo"

«Chiunque è nelle condizioni fisiche e finanziarie per farlo continua ad andare nei campi a seminare. Almeno chiunque non abbia campi nei terreni occupati dai russi, ma anche in quel caso gli sforzi per non abbandonare gli impianti sono enormi. È una responsabilità che sentiamo nel nostro sangue. Il pane deve arrivare alle persone e ai nostri soldati. Se non avessimo continuato ci sarebbero milioni di persone ridotte alla fame». Ivan Miroshnichenko è uno dei maggiori produttori di farina, grano, cereali e semi di girasole dell'Ucraina centrale.

Chiede di non fare il nome dell'azienda per motivi di sicurezza. Ma lancia l'allarme perché le riserve che finora hanno tenuto accesi i motori del Paese si stanno esaurendo e questo «avrà conseguenze pesantissime sui mercati internazionali».

L'Ucraina produce gran parte del grano che arriva in Europa via mare, ma ora ha milioni di tonnellate bloccate nei porti, l'export è fermo, campi, aziende e granai sono sotto le bombe, la logistica è paralizzata, così, dice Ivan «ne pagherà un prezzo carissimo tutto il Continente. Gli ultimi attacchi dei russi sono stati mirati non solo ai target militari, come aeroporti o infrastrutture - spiega - ma anche depositi di carburante, impianti agricoli, l'obiettivo è far saltare la catena della semina con effetti devastanti sulla capacità degli agricoltori di continuare il loro lavoro e sull'approvvigionamento di cibo».

L'Ucraina ha già perso almeno 1,5 miliardi di euro in esportazioni di grano dall'inizio della guerra, ha riferito nei giorni scorsi il viceministro dell'Agricoltura. Il timore è che se gli agricoltori non saranno in grado di seminare questa primavera, nella prossima stagione non ci saranno raccolti e le aziende che non sono state distrutte dai bombardamenti chiuderanno per fallimento. «L'export è bloccato - conferma Ivan - per la mia attività l'80 per cento prima della guerra. Cerco di vendere materie prime alle imprese interne per non interrompere la filiera industriale. Ma se non esporti, non hai denaro e le aziende si fermano. I player internazionali non si prendono rischi, le banche non ci sostengono, chi ci fornisce liquidità? Noi stiamo andando avanti con le nostre risorse interne». Che si riducono giorno dopo giorno: «Abbiamo poche scorte di carburante, tutto quello che abbiamo serve per far andare i trattori e fare le semine, e sui fertilizzanti abbiamo un problema enorme: non abbiamo più forniture dalla Bielorussia».

Ci sono poi le mine: «Nei territori liberati ci sono granate inesplose, è pieno di mine, va fatto un lavoro di bonifica che richiede settimane per riprendere le attività». Uno scenario le cui conseguenze saranno tangibili nei prossimi mesi: «Sarà una tragedia - riflette l'imprenditore - i prezzi esploderanno, e saranno insostenibili. Altri entreranno nei nostri mercati, i prezzi di vendita saranno alle stelle e i produttori nostri concorrenti dentro e fuori dall'Europa avranno mega margini».

Dietro lo sforzo di un'intera categoria, quella dei produttori agricoli, c'è però anche «tanta amarezza - confida Ivan - e dolore, nel vedere che il mondo non sta intervenendo per proteggere le persone, i valori, le vite di un Paese. Non abbiamo abbastanza armi per attaccare, ve lo abbiamo detto che non abbiamo aerei.

Io ho tre bambini, sono in questo settore da vent'anni, vedo i lavoratori che danno la vita per continuare la semina, vedo persone uccise, le aziende distrutte. Davanti a tutto questo sangue versato non vedo una reazione del mondo. Questo mi fa male. Non ho dubbi che vinceremo. Ma il prezzo sarà alto. E potrebbe essere inferiore se il mondo intervenisse davvero».

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