Per capire gli alti e bassi del rapporto tra Lega e M5s in questi sette mesi di autodefinito «governo del cambiamento» bisogna ricorrere a una metafora geologica. Basta pensare all'accordo gialloverde come a un territorio percorso, in sotterranea, da una serie di faglie più o meno dormienti, con periodiche fratture nel sottosuolo che generano ogni tanto dei piccoli terremoti.
Sull'immigrazione i due contraenti partivano già da posizioni abbastanza diverse. I grillini erano per la modifica del Trattato di Dublino e la redistribuzione equa dei migranti su tutto il territorio europeo. La Lega ha sempre predicato la chiusura delle frontiere. Poi ad agosto esplode la prima miccia. Salvini stoppa l'approdo della nave Diciotti, trattenendo i profughi. I ministri pentastellati si allineano. Ma la bomba esplode in casa Cinque Stelle. Roberto Fico, capo dell'ala «ortodossa» e presidente della Camera, rompe il silenzio: «Le 177 persone devono poter sbarcare». Salvini replica: «Pensi a fare il presidente della Camera».
Finite le vacanze, a settembre arriva in Consiglio dei ministri il decreto sicurezza e immigrazione. A dare la stura alla fronda del M5s è ancora una volta Fico: «La sicurezza si costruisce tramite la costruzione di altri diritti - spiega il presidente della Camera a Presa Diretta su Rai 3 - prendere il tema solo dalla parte del bastone significa fare una politica securitaria e non di sicurezza». A novembre il decreto sbarca in aula con il voto di fiducia. Al Senato cinque «dissidenti» grillini escono al momento della votazione. Alla Camera 19 deputati inviano una lettera a Di Maio e al capogruppo Francesco D'Uva per chiedere modifiche al testo. Fico marca visita e commenta: «Se la mia assenza al momento della votazione è stata interpretata come una presa di distanza dal provvedimento? Beh, avete interpretato bene».
L'altro focolaio dello stress a bassa intensità è rappresentato dalle grandi opere. Il M5s è storicamente contrario a Tap, Tav, Terzo Valico, pedemontane e Gronda di Genova. La Lega è per il Sì. Sul gasdotto trans adriatico c'è stato l'ok da parte di Conte. Mentre per le altre opere il ministro grillino Danilo Toninelli è ricorso all'escamotage dell'analisi costi-benefici. Tra queste l'alta velocità Torino - Lione. I leghisti, però, con Salvini in testa hanno già chiarito che la decisione finale sarà politica e loro «tifano» per il prosieguo dei lavori. Il tema tradizionale, e fondante, per il Carroccio è l'autonomia. Lo scontro non è apertis verbis ma è significativo che solo dai titolari dei ministeri pentastellati stiano arrivando delle controdeduzioni critiche alla bozza dell'accordo.
Sull'economia, ci sono state visioni diverse riguardo il ruolo dello Stato. Dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova, i grillini e Toninelli avevano aperto alla nazionalizzazione di Autostrade, subito fermati dalla Lega, con il Viceministro del Mit, il genovese Edoardo Rixi e il sottosegretario a Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti. Mai sopite le tensioni sul reddito di cittadinanza, bandiera del M5s. Con tanto di polemica di Giorgetti su una misura «che piace all'Italia che non ci piace». Entrambi partiti euroscettici, ma sul rapporto con l'Europa le posizioni dei grillini sono più sfumate. Ad esempio, a settembre l'Europarlamento ha votato a favore delle sanzioni per il premier ungherese Viktor Orban, grande alleato di Salvini, con il sì del M5s.
Sempre sul fronte della politica estera, l'ultimo battibecco interno ai gialloverdi c'è stato durante la visita di Salvini in Israele l'11 dicembre. Il capo della Lega ha definito «terroristi» i militanti di Hezbollah, scatenando la dura reazione di Di Maio e del ministro della Difesa Elisabetta Trenta. Anno nuovo, contraddizioni vecchie.
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