Per cercare di comprendere la personalità di Paolo Granzotto bisogna tener ben presenti due fatti che la caratterizzarono: era un Signore nei tratti e nella vita, nel comprendere e nel valutare i fatti, ed era un eccellente giornalista. Lo aveva portato al Giornale il padre Gianni, potente animatore di quel nostro parto. Non lo conosceva nessuno perché Paolo aveva fatto solo un po' di pratica al Messaggero di Roma ed era estraneo al mondo giornalistico di Milano. Ben presto ci accorgemmo che il padre Gianni ci aveva fatto un regalo, perché Paolo non solo se la cavava bene in ogni circostanza, ma aveva anche una penna unica nel suo genere, molto originale: secca e caustica, uno scrittore da corsivi, brevi, rapidi e taglienti, ma anche un inviato completo, con una prosa ampia e convincente.
Era stimato da Montanelli che lo mandò come corrispondente a Parigi e seguì poi da vicino tutti gli sviluppi della nostra storia. Io gli ero personalmente amico, gli fui vicino a Torino nella circostanza delle sue nozze, ed amavo intrattenermi a conversare con lui perché aveva un eloquio gradevole e sapeva un'infinità di cose poco note: ad esempio molte vicende delle più riservate famiglie aristocratiche d'Europa.
La sua scomparsa è una grave perdita per il Giornale, del quale era uno degli scrittori più apprezzati, per i lettori tra i quali era popolarissimo, e per me che lo consideravo uno dei colleghi più cari. Lascia la moglie e due figli ai quali vanno le mie più affettuose condoglianze.
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