"Basta trattare con le toghe sulla riforma. Solo in Italia scioperano contro il governo"

L'ex presidente dei penalisti Giandomenico Caiazza: "Bene il dialogo di oggi, ma poi l'esecutivo deve andare avanti senza intralci"

"Basta trattare con le toghe sulla riforma. Solo in Italia scioperano contro il governo"
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«Mi auguro che oggi ci sia un dialogo tra il governo e i magistrati. Ma mi auguro che non ci sia nessuna trattativa».

Giandomenico Caiazza (nella foto), già presidente dei penalisti italiani, non ha dubbi nell'indicare quel che si aspetta dal premier Meloni e dal ministro Carlo Nordio, che incontreranno oggi i vertici dell'Associazione nazionale magistrati per parlare della riforma costituzionale della giustizia.

Davvero non ci sono margini di mediazione?

«Molto pochi. I margini devono essere stretti perchè l'unico terreno su cui sarebbe ragionevole immaginare possibili modifiche è quello del sorteggio dei componenti del Consiglio superiore della magistratura: su questo le modalità sono affidate ad una legge di attuazione ordinaria e quindi un intervento non intralcerebbe il percorso della riforma. Altre richieste dell'Anm, come quelle sull'Alta corte di giustizia, comporterebbero ricominciare da capo la navetta tra Camera e Senato e quindi metterebbero a rischio l'esito della riforma. Ma mi lasci dire che siamo l'unico paese al mondo dove il potere giudiziario sciopera contro il potere esecutivo e legislativo, andando a trattare le leggi come un sindacato che va a discutere del trattamento pensionistico».

Forse la politica ha abituato troppo bene l'Anm.

«Una riforma si tratta o con una controparte sindacale o con un partito politico di opposizione. Quindi quello che sta accadendo è la conferma di quello che è accaduto negli ultimi trent'anni, la patologia di un ordine giudiziario chiamato a applicare le leggi, e che invece ha acquisito un ruolo da potere politico davanti al quale è necessario cedere o almeno venire a patti».

Se oggi il governo dirà all'Anm che la riforma va avanti senza modifiche sarà una rottura epocale?

«Sì, o almeno di una inversione di tendenza. Io voglio leggere in questo senso l'importantissima convocazione per oggi anche dell'Unione dei penalisti da parte del governo. Non voglio invece leggerla come un tentativo di coinvolgimento dell'avvocatura in un tavolo di trattative, perchè non ci deve essere alcuna trattativa con i magistrati. Spero che ci sia un confronto, certo, ma che ci si limiti a questo: che è già tanto. E che poi il governo e il Parlamento vadano avanti per la loro strada, democraticamente legittimati a farlo, senza ulteriori intralci».

Però lo sciopero dei magistrati è andato abbastanza bene, e il governo dovrà tenerne conto.

«Che lo sciopero fosse destinato a avere quei numeri era piuttosto scontato. Un po' perché la condivisione dell'allarme contro la separazione delle carriere è abbastanza diffusa, un po' perché per un magistrato schierarsi contro lo sciopero era veramente difficile. Nessun magistrato che abbia in ballo la propria carriera, pratiche disciplinari o altri possibili problemi avrebbe avuto voglia di dare un segnale così forte di dissenso dalle correnti. È stato un risultato previsto, che certo rafforza le posizioni estreme dell'Anm. Ma allora non si lamentino i singoli magistrati se vengono percepiti come un soggetto politico quando esercitano la loro funzione. Se si rende forte e solenne l'identità politica della magistratura poi non ci si stupisca se il cittadino medio sospetta, anche oltre la ragionevolezza, che qualunque decisione di quel pm o di quel giudice possa avere delle ragioni politiche».

Per l'Anm alcune sentenze recenti, come quella che ha condannato il sottosegretario Delmastro contro il parere della Procura, dimostrano che la separazione delle carriere non serve. I giudici non obbediscono ai pm.

«Sono argomenti ridicoli. Per un caso come questo, se ne possono indicare trecento di segno contrario. Nessuno ha mai sostenuto che i giudici siano degli esecutori automatici delle richieste delle procure.

Però se guardiamo ai risultati dei processi dobbiamo anche riguardare quelli delle udienze preliminari, col 97% di rinvii a giudizio, delle misure cautelari richieste e ottenute che sono simili, delle intercettazioni, dei sequestri richiesti e ottenuti. Non scherziamo. Una sola sentenza non può rimettere in discussione la separazione delle carriere che c'è in tutti i paesi civili dove vige il rito accusatorio».

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