Nato il 29 febbraio 1972 a Tetuán, distretto amministrativo di Madrid, Pedro Sánchez, «il bello» della politica spagnola, si è specializzato in economia con una laurea, due master e un dottorato, quest'ultimo ottenuto in un'università privata. Non un percorso tipico da figlio del mondo operaio tradizionalmente rappresentato dal Psoe, ma da uomo della nuova classe media venuta a galla con il post-franchismo. Appassionato di basket più che di calcio, ma tifoso in entrambi gli sport, amante della bicicletta e della musica pop e indie, Sánchez è un leader che ama le scommesse. Segretario del Partito Socialista Operaio Spagnolo dal 2014 al 2016 e poi di nuovo dal 18 giugno 2017, sriveva nel suo libro di memorie 4 anni fa, l'anno dopo che, con la prima mozione di sfiducia della storia della Spagna moderna era riuscito a spodestare il primo ministro del Partito Popolare Mariano Rajoy e diventare lui premier: «Può sembrare presuntuoso, ma mi rendo conto che nelle situazioni difficili raccolgo la sfida». Anche questa volta ci ha provato. Dopo la sconfitta alle elezioni amministrative di maggio, a 51 anni, ha deciso di giocare d'anticipo e convocare le elezioni generali cinque mesi prima del previsto, in piena estate. Lo ha fatto convinto, anche stavolta, di vincere. Come nel 2016, quando il partito l'aveva defenestrato da leader perché si era rifiutato di appoggiare il ritorno in carica di Rajoy dopo le due elezioni finite senza una maggioranza.
Pochi mesi dopo, anche in quel caso contro tutti i pronostici, ha vinto le primarie del Psoe e ha avviato il percorso che, in poco più di un anno, attraverso il sostegno di Podemos, l'ha portato finalmente alla Moncloa.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.