Un sonnifero per stordirlo, poi lo avrebbero «colpito con arma da fuoco e sotterrato». Andrea Beretta, ex capo ultrà interista ora in carcere per l'omicidio, commesso il 4 settembre, dell'altro ras della Curva Antonio Bellocco, ha raccontato ai pm i retroscena della faida mortale. Bellocco era erede della omonima cosca di 'ndrangheta di Rosarno.
Beretta, colpito lunedì da nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere nell'inchiesta sulle Curve criminali, ha messo a verbale di essere «riuscito più volte a sventare il progetto omicidiario» ai suoi danni «grazie alle rivelazioni ricevute dalla persona incaricata» di «tirarlo in trappola, verosimilmente con un sonnifero», e di «condurlo in un luogo idoneo a perfezionare la sua esecuzione: qui sarebbe stato colpito con arma da fuoco e sotterrato». Lo si legge in una integrazione alla richiesta di misura cautelare dei pm della Dda di Milano Sara Ombra e Paolo Storari. L'inchiesta ha portato all'arresto di 19 capi ultrà di Milan e Inter. Beretta, assistito dall'avvocato Mirko Perlino, nell'interrogatorio dopo l'omicidio ha riferito che «già da alcuni giorni» era «sottoposto a minacce da parte di Bellocco», che insieme a Marco Ferdico, il terzo nel direttivo della Curva, e altri complici gli avevano «rappresentato di volersi appropriare del merchandising della Curva Nord, fonte di reddito» per Beretta «con il negozio We Are Milano e di volerne avviare uno ex novo nella città di Milano». Sempre Beretta ha dichiarato «di essere già stato fatto oggetto di altri tentativi di portare a termine il suo omicidio, sempre sventati». Avrebbe quindi ucciso l'avversario, per non essere ucciso. A luglio Beretta sarebbe anche stato «convocato», è lui a raccontarlo, «a casa di Bellocco» e nei box incontrò «due emissari» del clan 'ndranghetista, che gli avrebbero rivolto «direttamente concrete intimidazioni (sempre correlabili alla gestione del merchandising)».
Anche su il «Toro» della Sud, cioè il leader Luca Lucci, finito ora in carcere, e sugli altri capi del direttivo ultrà emergono nuovi dettagli. Nelle accuse della Dda non c'è, come invece per gli interisti, l'aggravante di aver favorito la mafia. Tuttavia i pm parlano di «progressivo avvicinamento della Curva Sud ad esponenti della criminalità organizzata calabrese». Molto vicino a Lucci è considerato Rosario Calabria, «classe '83, figlio di Antonio, appartenente all'omonima famiglia di 'ndrangheta orbitante nell'area Milanese (Corsico/Buccinasco)». Un aspetto che per i pm dimostra «la pericolosità del sodalizio criminoso milanista, in grado di potersi appoggiare e di avvalersi di soggetti di rilevante spessore». In questo contesto si inserisce il business dei parcheggi a San Siro, al centro dell'inchiesta. Così ne discutevano i capi ultrà rossoneri, tra cui Lucci, a fine 2022: «1000 macchine?... 30mila a partita!!! oooh!!! a partita!... facciamo 80mila al mese! punto e basta! punto e basta!!!». Poi c'è l'affare concerti. L'atto della Procura torna sulle relazioni tra Lucci e «noti artisti», come «Fedez, Emis Killa, Lazza, Tony Effe, Cancun, Gue Pequeno».
E sui «preliminari accordi tesi a gestire i concerti di tali artisti, sia sul territorio nazionale (ed in particolare in Calabria), sia internazionale, facendo leva sull'intraprendenza del suo fedelissimo Hagag Islam», anche lui amico di Fedez e ora in carcere, «già in contatto con alcuni imprenditori operativi nel settore, molti dei quali di origine calabrese». L'intreccio è tale, che Hagag comparirebbe sul sito di TicketOne come «organizzatore del concerto di Fedez» al Calura di Roccella Jonica il 6 agosto scorso.
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